Foto: Maarit Kytöharju; Traduzione: Luigi Corvetti
Intervista a Kari Ikonen
Recensione a Oceanophonic
Jazz Convention: Cominciamo con Karikko. Hai messo insieme una ensemble grossa e particolare. Come hai scelto i tipi di suoni e i musicisti?
Kari Ikonen: Il primo disco, Karikko, contiene mie composizioni per differenti ensemble e coinvolge tredici musicisti. Il sestetto, con cui abbiamo fatto dei concerti, è una sua versione ridotta. Ho trovato molto interessante la combinazione di tromba, violoncello e flauto: ho impiegato qualche anno a cercare i musicisti più adatti per tromba e violoncello, e alla fine ho trovato, nel 2006, Vincent Courtois e Gunnar Halle.
JC: Oceanophonic è il secondo CD di Karikko, dopo il disco di debutto pubblicato nel 2001. Come si è evoluto il suono in questo periodo e perché hai aspettato così tanto per il secondo disco?
KI: Se Karikko ha avuto diversi musicisti extra e diversi strumenti, in Oceanophonic è presente solamente il sestetto con i suoi membri stabili: come ho detto prima, c’è voluto un po’ di tempo per trovare la combinazione di musicisti più adatta. Inoltre, durante i sette anni, mi sono concentrato in altri progetto e ho vissuto in parte a Parigi e in parte a Lisbona e ho avuto un bambino
JC: La composizione. Oceanophonic rivela una grande attenzione ai diversi linguaggi del jazz, dalla tradizione all’avanguardia. Qual è la tua relazione con la storia del jazz? O, se preferisci, quali sono i musicisti che maggiormente hanno influenzato il tuo stile o il tuo modo di comporre musica?
KI: Ho studiato jazz, ad esempio alla Sibelius Academy, e mi diverto ancora a suonarlo. Tuttavia con questo gruppo volevo fare qualcosa di diverso, Ci sono davvero tante influenze nel mio modo di concepire la musica, tra cui Corea, Ravel, Zappa, Taraf de Hadouks e Metallica… artisti che sono stati tra i miei preferiti nelle diverse fasi della mia vita… anche se non penso che nessuna di queste in particolare sia percepibile direttamente nella mia musica.
JC: Le tue composizioni sono sfaccettate e, nel disco, sono presenti molti stimoli diversi: è una specie di puzzle in cui, nei diversi pezzi, è possibile riconoscere diversi stili e suoni.
KI: Le composizioni di Oceanophonic sono state scritte tutte per Karikko, ma in un periodo piuttosto lungo, tra il 2002 e il 2008. Oltre alla formazione completa, ci sono spazi lasciati all’esecuzione di due, tre o cinque musicisti. Alcune delle composizioni sono scritte interamente, mentre altre sono state lasciate maggiormente aperte.
JC: In particolare, hai prestato grande attenzione alla concezione orchestrale: hai scritto frasi da suonare all’unisono, creato un gioco di contrappunti tra le linee melodiche e le sezioni di fiati.
KI: Non ho ragionato in modo specifico sull’arrangiamento e sull’orchestrazione, per questo cd: mentre scrivevo per l’ensemble, gli elementi sono venuti fuori e si sono combinati durante il processo di composizione. In alcuni casi era mia intenzione suonare questi pezzi con altri musicisti e strumentazioni, ma è molto difficile separare la composizione dal contesto.
JC: Ascoltando il disco, ho cercato di immaginare come la musica di Oceanophonic si evolve durante un concerto?
KI: Bene, al contrario del primo album di Karikko, Oceanophonic utilizza dal vivo lo stesso sestetto con cui abbiamo fatto il concerto. In una situazione live, tuttavia, la musica cambia leggermente: c’è più improvvisazione e, anche i passaggi scritti, sono suonati con molta più libertà, c’è molta più interpretazione collettiva dato che i musicisti non sono più obbligati a leggere.
JC: Il titolo del disco e i titoli delle tracce sono dedicate al mare.
KI: Il mare è sempre stato molto importante per me. Da bambino ho passato tutte le mie vacanze estive in barca a vela sul Mar Baltico. E che dire dei frutti di mare, anche loro sono molto importanti per me.
JC: Petri Silas ti ha definito, sul sito del FIMIC, come riferimento per i suonatori di Moog della tua generazione. Parliamo delle diverse tastiere che utilizzi e dei loro suoni e, in particolare, del tuo rapporto con i suoni vintage.
KI: Mi piacciono gli strumenti originali come i sintetizzatori analogici. Ho comprato il mio Moog circa 20 anni fa e, da allora, è stato sempre una parte essenziale del mio modo di fare musica. Uso anche un Korg Polysix personalizzato e un Sequential Circuits Pro 1, due strumenti eccellenti.
JC: Un altro gruppo molto importante nella tua carriera è stato Gnomus. Quali sono le linee guida dei dischi di questa formazione?
KI: Gnomus è stato fondato nel 1998 e mi sono divertito molto a suonare in questa band. La musica è completamente basata sull’improvvisazione, non abbiamo mai scritto composizioni oper questo gruppo. Abbiamo registrato quattro cd: il primo, Gnomus, è una registrazione live con alcune modifiche di post-produzione; il secondo, intitolato II, è una registrazione dal vivo da 3 differenti concerti, il terzo, 28 août 2005, è un disco con due tracce, registrato dal vivo in un concerto di Nantes, e l’ultimo, Diagnosis, è il nostro primo album in studio.
JC: Gnomus è anche nella Zoom Compilation pubblicata dal collettivo francese Yolk nel 2007. Qual è il tuo punto di vista a proposito del panorama europeo dei collettivi jazz?
KI: Ci sono molti collettivi di buona qualità ed attivi in diversi paesi europei ed ora abbiamo cominciato a riunirli in un network, in modo da realizzare progetti cooperativi nel futuro.
JC: Parliamo di altre formazioni in cui hai suonato nel corso della tua carriera, come Mr. Fonebone, Quartet Coyote, Ahava, il Markus Holkko Quartet.
KI: Mr Fonebone, è stato fondato nel 1994 ed è ancora attivo: il suo suono si può definire mainstream. Ma siccome tutti i musicisti sono molto validi e creativi, è stata un’esperienza importante e piacevole nella mia carriera. Il Quartet Coyote è stato un gruppo dove mi sono divertito tantissimo, quando esisteva, e Avaha è tuttora uno dei miei progetti principali. Al momento stiamo lavorando ad un quartetto di archi ad esso collegato. Il Markus Holkko Quartet, infine, in questo momento, dopo la pubblicazione di Being Here ne 2007, è fermo. Naturalmente, la presenza di un Moog in un combo jazz crea un suono molto particolare.
JC: Qual’è il tuo punto di vista a proposito della scena jazz finlandese?
KI: C’è un’abbondanza di grandi musicisti in Finlandia, soprattutto grazie alla Sibelius Academy e all’elevata qualità del suo dipartimento jazz. Il problema sono le infrastrutture: non c’è abbastanza pubblico per il jazz, solo un paio di promotori/agenti e pochissimi jazz clubs, al momento nessuno ad Helsinki! Molti dei festival devono avere in cartellone nomi che siano interessanti per un vasto pubblico, oltre che per appassionati di jazz. Inoltre, il sistema di supporto non è così potente come negli altri paesi del Nord, il che significa che è difficile per i gruppi finlandesi suonare all’estero. Come risultato, c’è una grossa quantità di musicisti jazz disoccupati! Tuttavia penso che le cose stiano cambiando, ma molto, molto lentamente.iò che credi sia buono, anche se non molte persone vi presteranno attenzione, e c’è la fortuna, essere nel posto giusto al momento giusto: sono necessarie tutte queste cose!