Novara – 10-11.6.2023
Foto: Andrea Gaggero
Rob Mazurek Exploding Star Orchestra, Chicago-Sao Paulo Underground, Nicole Mitchell Solo, Angelica Sanchez Solo, Joe Mc Phee Solo, Gabriele Mitelli Trio plus Joe McPhee…
Novara Jazz alla sua ventesima edizione si conferma uno dei migliori festival europei: per la coerenza dei programmi e per il coraggio delle proposte, di altissima qualità e non facile richiamo. A conclusione della dieci giorni, un fine settimana (10-11 giugno) ricco di alcuni nomi imprescindibili per chi voglia provare a capire cosa siano oggi le musiche improvvisate di matrice afroamericana (jazz?). Mattatore della due giorni Rob Mazurek, con la magnifica Exploding Star Orchestra, e diversi suoi membri in solo o altre formazioni, ora rodatissime ora nate per l’occasione. Quasi a far da contraltare la presenza dell’ottantaquattrenne Joe McPhee, icona vivente del free post Coltrane, via Pharoah Sanders di cui è stato allievo, musicista ancora lucidissimo, energetico e insieme lirico. Impossibile qui render conto di quanto ascoltato, ci limiteremo a quei momenti che ci hanno maggiormente emozionato. Nel pomeriggio di sabato, dopo la performance della flautista chicagoana Nicole Mitchell, è Angelica Sanchez a sfoggiare una potenza sonora e di tocco raramente udita. Il suo è un pianismo percussivo, nel solco Monk-Waldron-Tyner-Blake. Come in Tyner anche qui il pianoforte può diventare enorme, impressionante, percussivo e zoppicante per poi fluire quietamente. La sua musica, sghemba e dissonante, può essere ossessiva, costruita per brevi frasi, ripetute e rimuginanti senza perdere in lirismo a volte persino scoperto. Pianista originalissima, estranea ai clichè del pianismo jazzistico moderno. La musica della Sanchez nulla concede alla piacevolezza, alla forma rifinita risutando così più gustosa, faccettata, giocosa nel mischiare tratti percussivi e frammenti di pianismo eurocolto. Quando ritmo e melodia riaffiorano sono sovente irresistibili. Nel tardo pomeriggio, in altro luogo, l’avanguardia storica inglese, Sanders e Edwards, e quella italiana recente, il bravissimo Mitelli, incontrano Joe McPhee, tassello rilevante della storia del free di seconda generazione. McPhee incide il primo album ad un anno di distanza dalla morte di Coltrane, del quale è grandemente debitore, ma anche Pharoah Sanders e Ayler proiettano ombre lunghe sulla sua musica spirituale, lirica, urlata e rabbiosa, distesa e cantante. Mitelli si mantiene in secondo piano lasciando sempre più spazio a McPhee e ritagliandosi, con grande intelligenza e forse eccessiva deferenza, un ruolo di rifinitura timbrica con interventi di elettronica.
Il momento più atteso della rassegna sabato sera, nel cortile del Broletto, con la presenza della Exploding Star Orchestra formazione capitale nell’attuale panorama jazzistico. Mazurek, direttore e compositore, raduna qui una decina di musicisti creativi, nonché grandi virtuosi dello strumento, per una performance di grande impatto sonoro ed emotivo. Mazurek il demiurgo, l’alchimista che sa guidare gli impasti cangianti di suoni acustici ed elettronici, lo stregone che con una manciata di campanelli e una nenia urlata evoca altri spiriti. Mazurek non usa qui l’elettronica ma l’uso che fa di colori e dinamiche è molto simile: anche qui spegne e riaccende, con la stessa disinvoltura e libertà, la solidissima “sezione ritmica”. Gli stop time lasciano scoperta la vocalità alterata e declamante di Damon Locks oppure il flauto di Mitchell e il vibrafono di Mirra. Musica meravigliosamente composta diretta ed eseguita ha in sé quelli che ci paiono elementi ricorrenti di un modo di intendere le musiche afroamericane oggi: un fondamento ritmico possente e ipnotico, la voce in reading decalamato (Damon Locks), l’armonia semplificata e la melodia epica, la presenza di strumenti elettronici. Quelli di Mulatu Astatke e Sun Ra i nomi che salgono per primi alla mente.
Il tardo pomeriggio della domenica il Chicago Underground duo (Mazurek-Chad Taylor) con l’aggiunta delle percussioni e l’elettronica di Mauricio Takara, altro fedelissimo nel Sao Paulo Underground. Ritroviamo qui, sintetizzati e più chiaramente esposti, quegli elementi musicali strutturanti e caratterizzanti un modo di intendere oggi il jazz, innanzitutto la presenza di una base ritmica possente, ricca ed articolata ma sempre riconoscibile e centro di attenzione e seduzione uditiva (ancora il magnifico Chad Taylor). Mazurek si confronta con le percussioni di Taylor e Takara, ora brandendo campanelli, ora con frasi melismatiche ripetute, ora cantando, tra l’urlo e la declamazione, frasi di poche note. L’occidente ha bisogno di spiritualità, di miti e riti. Negli anni brasiliani Mazurek ha forse incontrato le narrazioni, i riti e i miti là ancora vivi? Ora li porta sui palchi d’occidente e tutto pare svolgersi entro una cornice di rito schiettamente musicale, le percussioni strutturano la musica e dettano le coordinate, anche i temi sono ritmici e scarnificati, l’improvvisazione jazzistica è insieme contraltare e richiamo alle stesse, altre, radici.
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