Virginia Sutera: violino
Michele Mazzini: clarinetti
Ermanno Novali: pianoforte
Alberto Braida: pianoforte
Federico Calcagno: clarinetti
Andrea Bolzoni: chitarra elettrica
Luca Pissavini: contrabbasso
Simone Di Benedetto: contrabbasso
Dudù Kouate: percussioni
Salvo Scucces: vibrafono
Gabriele Lattuada: percussioni
Lorenzo D’Erasmo: tamburo a telaio
Stefano Grasso: batteria, percussioni
Aut Records – 2022
Il disco della Tuscany Music Revolution è stato inciso nel 2019 a Buonconvento, nel senese, a seguito della residenza artistica di un gruppo di improvvisatori fra i più titolati fra le nuova leve. L’album è diviso in 9 parti, in cui l’ensemble si scinde in formazioni di dimensioni più ridotte, a seconda delle esigenze compositive (istantanee).
Nella prima parte sembra che gli artisti prendano le misure e cerchino di accordarsi per iniziare insieme un viaggio che non si sa dove li porterà non avendo una partitura, un tracciato, una mappa da seguire. Si ascoltano suoni sparsi infatti, frasi tronche, assoli appena accennati. È un incipit volutamente interlocutorio, prima dello scatenarsi delle invenzioni individuali o di gruppo, che si manifesteranno successivamente.
Nella seconda parte, sono protagonisti il violino di Virginia Sutera e il pianoforte di Alberto Braida, nella prima sequenza, melodica, a suo modo, e sospesa. Il finale, invece, è dominato dai clarinetti di Mazzini e Calcagno che si inseguono tenacemente, in un botta e risposta in cui si dimostrano padroni di un linguaggio aperto anche a sonorità desuete, oltre che di una tecnica inappuntabile.
La terza traccia è portata avanti dai pianisti che percuotono i tasti dei loro strumenti con sempre maggiore enfasi, mentre alle loro spalle le batterie li accompagnano in questo crescendo di tensione, fino ad una interruzione inaspettata, senza alcun preavviso.
Il quarto segmento è dominato dalle percussioni, con Dudù Kuatè in bella evidenza, per ricordare che anche i ritmi africani sono insiti nell’idioma spalancato su tante direzioni degli improvvisatori della band.
La quinta parte è riservata agli archi che conversano su arie classiche cariche di un sentimentalismo sfibrato, su tempo lento, prima di una vivace accelerata conclusiva.
Nella sesta parte si assiste a un duetto pianoforte-clarinetto, protagonisti Braida e Calcagno, con la batteria di Grasso di rinforzo. Siamo in un clima cameristico-free, disegnato e condotto in porto da tre personaggi che maneggiano questa materia indiscutibilmente con maestria.
Il settimo brano racchiude un ritmo etnico, è danzante e ossessivo come la pizzica. Siamo in quell’area di influenza, infatti. Poi le acque si calmano e il violino cogitabondo della Sutera prende la scena per uno scambio introspettivo con il pianoforte di Braida.
La chitarra di Bolzoni, infine, si occupa di chiudere l’album con un fulminante free-post punk, in cui interviene un clarinetto basso parecchio su di giri, caricato a mille.
La Tuscany music revolution non ha un maestro, una guida. Il collettivo è assolutamente democratico. Non ci sono, cioè, capi o punti di riferimento stabiliti in anticipo. Grazie alla conoscenza reciproca e alla volontà precisa di dialogare, di unire forze e capacità per una causa comune, tutto scorre felicemente amalgamato, come se dietro le quinte ci fosse una regia occulta. In più, in tutti, c’è la consapevolezza che l’improvvisazione assoluta non debba obbligatoriamente rifugiarsi nella nota sporca o nel passaggio cacofonico, come comunemente si intende. Si può improvvisare anche producendo un motivo con una linea melodica aggraziata, accanto ad altre sequenze magari più scabrose o spinte in avanti. Sintetizzando, le schematizzazioni di prassi o di comodo quasi mai fotografano fedelmente la realtà.
Il debutto dell’ensemble toscano, per definizione, è, quindi, più che soddisfacente, in virtù della personalità, della competenza dei musicisti coinvolti e della loro abilità nel destreggiarsi in questo tipo di imprese coraggiosamente effettuate senza rete.
Segui Jazz Convention su Twitter: @jazzconvention