Foto: Katia Paravati
Jean Luc Ponty Quartet.
Blue Note, Milano – 9.4.2010
Jean Luc Ponty: violino
William Lecomte: tastiere
Damien Schmitt: batteria
Guy Akwa Nsangue: basso
E’ un Blue Note non gremitissimo quello che accoglie Jean Luc Ponty per il primo dei quattro concerti nel noto locale milanese.
68 anni portati con grande nonchalance dal violinista francese, sempre estremamente pacato negli atteggiamenti e nelle poche parole di presentazione quanto energetico nel rapporto col suo strumento.
Sono sul palco con lui i connazionali William Lecomte alle tastiere, Damien Schmitt alla batteria ed il camerunese Guy Akwa Nsangue al basso elettrico.
Innumerevoli le collaborazioni di Ponty nella sua lunga e variegata storia artistica.
Dalle esperienze con John McLuaghlin e la sua Mahavishnu Orchestra al Violin Summit (con Stephane Grappelli, Svend Asmussen e Stuff Smith), dalla partecipazione ad Honky Chateu di Elton John alla realizzazione di King Kong insieme a Frank Zappa ed alla susseguente partecipazione ai tour delle Mother of Invention di Zappa, dall’esperienza di The rite of strings con Al Di Meola e Stanley Clarke al tour in India con l’orchestra del violinista indiano L. Subramanian e come special guest Billy Cobham.
Un percorso, dunque, fuori da ogni schema rigido, mosso dalla curiosità e dal desiderio di confronto con altri generi musicali ed altre culture, che ne hanno certamente arricchito il bagaglio personale, umano ed artistico.
Il concerto si apre con due brani molto pacati, tratti dal suo ultimo album Atacama Experience del 2007, quasi si volessero “rodare” il palco e la sala.
Ma il rodaggio dura poco, e con Celtic Steps, sempre da Atacama, il concerto decolla, con un entusiasmante e calda partecipazione del basso di Guy Akwa, calibrato e fantasioso, un vero demone dello strumento che sorride ed ammicca al pubblico.
La band segue il suo leader con rigore, ma un leader come Ponty è anche capace di farsi da parte, e lo fa spesso, per lasciare spazio all’estro dei suoi compagni, che si lanciano in fulminanti assoli che strappano applausi e grida al pubblico, in particolare il solo di basso, potente ed estremamente funky.
Spesso gli attacchi di Ponty ricordano il suo primo amore, il Sax, e come i migliori sax il violino accarezza le nostre orecchie, od urla e stride. Non a caso tutte le biografie di Jean Luc Ponty ricordano come il suo fraseggio sia mutuato proprio dalla sua devozione per Coltrane e Davis.
Seguono Enigmatic Ocean e la struggente Monk’s Mood, un atto d’amore verso il grande pianista in duo con le tastiere di Schmitt, ma un po’ la vibrazione del basso ci manca.
Conclude il concerto la preziosissima On my way to Bombay, seguita da un breve bis da me non identificato, ma non importa, ed usciamo dalla sala accompagnati ancora da quelle note che ci seguiranno a lungo nel nostro ritorno.