Intervista a Nicholas Myers

Foto: Valentino Paoletti









Intervista a Nicholas Myers


Jazz Convention: Vorrei iniziare con una frase che hai pubblicato all’interno della biografia sul tuo sito web, vale a dire “(tu fai) parte di una nuova generazione di musicisti cresciuta nel mondo della musica di oggi, molto ricco e complesso”.

Nicholas Myers: Questa ricca complessità influenza la mia musica in molti modi. Per esempio Spanish Steps si muove sui ritmi di New Orleans, ma la melodia si sviluppa su una frase di misura dispari. Credo che questo sia possibile solo dal momento che siamo esposti a molte musiche diverse: suono musica funky groovy in un bar stile New Orleans tutti i fine settimana mentre la seconda parte del brano deriva dal fatto che ho suonato e ascoltato tanta musica con frasi dispari. La musica indiana o quella bulgara hanno queste caratteristiche ritmiche e a volte mi piace suonare in quel modo. Ho assorbito tutta la musica che ho suonato e ascoltato e, di conseguenza, poi viene naturalmente fuori nelle mie composizioni, senza che io mi preoccupi più di tanto di razionalizzare. Sono solo contento di vivere oggi di essere esposto a tale diversità di arte e musica.


JC: Deep Sea Fisherman guarda sia alla tradizione e che alle idee del jazz di oggi. Qual è l’equilibrio che cerchi tra i due elementi?

NM: Come dicevo prima, non è una mia scelta a priori. Ho ascoltato in maniera intensiva Lester Young, Wayne Shorter, John Coltrane, Stan Getz per non parlare degli innumerevoli altri musicisti nei differenti strumenti e degli altri generi musicali, James Brown, Prince, Ornette Coleman. Anche i miei coetanei influenzano il mio modo di suonare. Credo sia quasi impossibile non portare tutti questi elementi nelle mie composizioni, nel mio modo di suonare, dopo aver ascoltato ed essere cresciuto circondato da tanta musica. Semplicemente mi rilasso e lascio che la musica venga fuori. Anche il mio primo insegnante di pianoforte, con cui studiavo quando avevo cinque anni, ad esempio, si può ritrovare in queste influenze.


JC: Un’altra questione aperta nel jazz è l’equilibrio tra improvvisazione e composizione. Come lo hai risolto in questo lavoro? E quali sono le linee che “imponi” ai tuoi musicisti?

NM: Cerco di non imporre alcuna guida ai miei musicisti. Se qualcuno ha un’idea per un motivo oppure vuole cambiare un pezzo di un mio brano, lo proviamo per vedere come suona. Per quanto riguarda la composizione, non voglio che leggano la mia musica come se fosse un libro, ma nemmeno, al contrario, voglio che la composizione venga trascurata. Mi piacciono le forme malleabili, tali da permettere parti composte e sezioni lasciate all’improvvisazione. Talvolta il confine tra queste varie parti è così sfumato da rendere difficile distinguere quali siano le sezioni scritte e quali no. Mi piace anche creare diverse forme nei vari passaggi in modo che ognuno possa portare il proprio contributo e far sì che la musica rimanga fresca per tutti. Voglio che tutti nel gruppo possano contribuire alla ri-composizione di ogni melodia tutte le volte che la suoniamo.


JC: Parliamo un po’ della storia del progetto: quali sono le direzioni musicali dei brani? e quanto ti sei avvicinato ai tuoi obiettivi o, meglio, quante cose sono cambiate rispetto alle tue idee originali?

NM: In ciascuno di questi brani sono partito dalla melodia: questa è stata la “direzione musicale”. Ho scritto melodie che mi piacevano e a poco a poco si sono trasformate in composizioni: con l’aiuto degli altri musicisti sono andate a formare il disco. Parto sempre con la melodia e lascio che il brano prenda forma da quell’idea originaria: la provo, la suono e poi decido se mi piace o no, se è il caso di lavorarci su. Naturalmente continuo a scrivere e continuo, anche, a lavorare su queste canzoni!. Tutte le composizioni dell’album sono state arrangiate per una sezione fiati di cinque elementi. Amo il suono delle formazioni grandi e sto cercando di riuscire a registrarli di nuovo con i fiati, ma ovviamente diventa più difficile trovare i soldi per portare avanti un lavoro del genere.


JC: Hai deciso di aprire e chiudere il disco con due dialoghi tra sax e pianoforte. E’ un’idea nata prima del disco oppure è venuta in studio di registrazione? Di sicuro porta un sapore particolare al rapporto con il disco…

NM: E’ stata un’idea nata in studio: non riuscivo a decidere quale delle due versioni mettere sull’album e qualcuno in studio ha avuto l’idea di metterle entrambe. E’ stato un lavoro di squadra!


JC: Hai registrato Deep Sea Fisherman con un gruppo italiano e per una etichetta italiana. Cosa significa per te questa esperienza? e qual è la sua opinione circa il modo italiano di jazz?

NM: Di sicuro questo significa che sarò di ritorno in Italia molto spesso per suonare: gli italiani amano in maniera profonda il jazz e questo porta i musicisti a esprimersi in maniera sempre nuova. Sonny Stitt era solito fare dei tour in tutti gli Stati Uniti suonando ogni volta con musicisti locali diversi ed è davvero un modo divertente per fare dei concerti. Ho suonato i miei brani con gruppi diversi in tutto il mondo e ciascuno li interpreta in maniera differente. Non ho una preferenza specifica per qualcuno di questi approcci ma, così, la musica si mantiene più interessante dal mio punto di vista! I ragazzi che suonano con me nel disco sono musicisti di talento dalla mentalità aperta ed è stato un piacere lavorare con Alessandro Lanzoni, Igor Spallati e Alessandro Paternesi.


JC: Tu hai suonato con musicisti di diverse generazioni come George Garzone, Joe Lovano, Jean-Michel Pilc, Ralph Alessi, Brian Lynch, i ragazzi italiani. Come cambia (se cambia) il tuo approccio in ogni situazione? E tu hai notato differenze generazionali nel loro approccio?

NM: In realtà non ci sono molte differenze generazionali, ma hanno un modo diverso di suonare che proviene dalla propria storia personale con la musica. Questo non è necessariamente una differenza generazionale generalizzata, è semplicemente il risultato dell’interazione tra la loro vita e la musica che suonano. Quando ho l’opportunità di dividere il palco con questi musicisti cerco di far interagire le mie idee con quelle degli altri e si spera, in questo modo, di dar vita a una bella situazione. Il mio approccio è quello di fare musica, portando tutte le mie esperienze al tavolo e cercando di essere il più musicale possibile in ogni situazione.


JC: Questa estate metterai insieme il tuo “giovane” quartetto italiano con un maestro del jazz newyorchese come George Garzone…

NM: Ho suonato con George e con questi ragazzi italiani separatamente e ho la sensazione che l’unione sarà molto positiva. Il mio obiettivo personale è quello di guardare come si svolgeranno le cose perché sarà eccitante per noi quanto lo sarà per tutti coloro che ci ascolteranno. Quando si riuniscono talenti, musicisti di larghe vedute e maestri come George non si può davvero prevedere un risultato prestabilito. anche perché in quel caso, vorrebbe dire che si sta tentando di forzare la situazione e questo non porta mai grandi risultati musicali!