Aldo Farias – Languages

Aldo Farias - Languages

Splasc(H) Records – CDH1514.2 – 2008




Aldo Farias: chitarra

Giovanni Amato: tromba

Daniele Scannapieco: sassofoni

Angelo Farias: contrabbasso

Alberto D’Anna: batteria






Originali, ma non si direbbe. Almeno a giudicare dalla cesellatura di queste composizioni, tutte di una freschezza coinvolgente e tutte scritte da Aldo Farias, ad eccezione di I fall in love too easily.


Si potrebbe dire: “un lavoro americano”, non fosse per i titoli che ci conducono verso dimensioni apparentemente differenti.


Languages, del chitarrista napoletano Aldo Farias, è un’opera che penetra subito nella mente. Le visioni dell’ascoltatore si lasciano trasportare da umori che spaziano dal Coltrane dei primissimi anni ’60 all’elegante impasto swing alla George Shearing. Ricerca e raffinatezza quindi, non senza rinunciare a quel deciso swing di impronta bop. Un’analisi forse scontata, al solo leggere i nomi che compongono il quintetto. Oltre a Farias, gran parte del merito di questo interessantissimo lavoro va ascritto infatti ai componenti: ai fiati di Giovanni Amato e Daniele Scannapieco (tromba e sax) e alla ritmica di Angelo Farias e Alberto D’Anna, rispettivamente al basso e alla batteria. Nulla di scontato, o quasi. Farias si dimostra solista maturo e attento, profondo conoscitore del lessico jazzistico, pulito nel suono e compositore di rara raffinatezza. Non riesco tuttavia a trovare, se non in alcuni accenni, quello smaccato climax “mediterraneo” che ostinatamente e scontatamente si vorrebbe affibbiare a tutti i musicisti di casa nostra, specialmente se provengono da aree geografiche come la Campania o la Sicilia. Per Languages utilizzerei piuttosto un aggettivo come “solare”, specialmente per descrivere composizioni come Leonardo e Enjoy your life: calypseggianti, avvolgenti, squisitamente rollinsiane (inutile aggiungerlo). Questo gusto solare emerge anche in Mytikas, dove Farias lascia trasparire tutta la sua poetica attraverso l’uso del pizzicato acustico, memore di trascorsi classici. Le scale si inseguono fino a lambire lidi orientaleggianti e spagnoleggianti, scanditi da un’incalzante azione di basso e batteria. E’ Ortigia che – insieme a One for Bud – può rimandarci agli incisi storici di Shearing, mentre Blues for Dolphy è un delizioso interplay dove si avvicendano gli eloquenti interventi dei musicisti, a costo di ripetermi: mai scontati.