Franco D’Andrea, la musica di una vita!
Foto: Ferdinando Caretto
Franco D’Andrea, la musica di una vita!
E’ un assolato pomeriggio milanese, Franco D’Andrea ci riceve con calorosa ospitalità nella sua casa che traspira musica ovunque. Stringe, con orgoglio e fierezza, tra le mani il suo ultimo cd, un altro capitolo che si aggiunge alla sua sterminata discografia.
E’ desideroso di raccontare com’è nato il suo nuovo disco e quali novità vi sono contenute. Prima di tutto, però, ci racconta il perché del cambio d’etichetta: Half the Fun è stato inciso per El Gallo Rojo. «Venivo dall’esperienza Blue Note con la quale ho avuto qualche problema. Il rapporto con loro è finito per varie ragioni ma soprattutto per l’atteggiamento che hanno avuto verso la mia musica, che non si può vendere d’acchito ma ci vogliono degli anni. Non è una roba da pronta cassa. La Blue Note Europa, forse a causa della crisi economica, ha deciso un cambio di strategie, così anche io sono rimasto coinvolto in questa scelta. Dopo Siena Concert ho capito che non avrei potuto fare più nulla. Non c’erano le possibilità di concretizzare altre cose. Mi sono svincolato dal contratto che mi legava alla Blue Note ed ho cominciato a fare delle ricerche». D’Andrea si è avvicinato alla label El Gallo Rojo attraverso il suo batterista Zeno de Rossi, collaboratore dell’etichetta. Si è materializzata in lui l’idea dell’auto produzione. «El Gallo Rojo è una label che auto produce le cose insieme al musicista di turno. Ho cominciato a pensare al nuovo disco, Half the Fun, con una registrazione che avevo sottomano, effettuata dal vivo nel settembre 2008 al jazz festival di Ciriè. Era una buona registrazione, ci esibivamo in quartetto (Franco D’Andrea, Andrea Ayassot, Aldo Mella e Zeno de Rossi). L’ho proposta a El Gallo Rojo ed è piaciuta. Per me è stato importante che un’etichetta di musicisti recepisse il mio lavoro. E’ stata un’esperienza nuova e mi dà tutt’ora molto entusiasmo!». E’ interessante notare come D’Andrea ci tenga a ribadire la sua soddisfazione per la riuscita del progetto e per l’atteggiamento schietto e collaborativo del team di El Gallo Rojo.
Spiegate le ragioni del cambiamento d’etichetta, il pianista si concentra sull’analisi del lavoro fatto in Half the Fun e con spontanea umiltà racconta che cos’è il suo ultimo disco.
«E’ un lavoro dal vivo che nasce due anni dopo Siena Concert. E’ un concerto fatto in un posto dove c’era un ottimo fonico, ed io lo sapevo. Abbiamo verificato il livello di maturazione raggiunta dal quartetto ed abbiamo suonato brani non presenti nel disco precedente». Questo cd possiede degli elementi di novità e ce lo spiega lui direttamente: «nel repertorio ci sono tre pezzi non di mia composizione, uno di Billy Strayhorn, che dà il titolo al disco, l’altro di Lennie Tristano, Turkish Mambo ed il terzo, Lush Life, sempre di Strayhorn». Quest’ultimo ha una genesi particolare, di natura affettiva: «era in programma una serata dedicata a Tony Scott, morto da poco. Mi ero chiesto che cosa potevo suonare. Mi sono ricordato di Lush Life, un pezzo che Scott amava moltissimo e suonava al pianoforte magistralmente in tutte le tonalità. Ho provato a farlo a modo mio – lo avevo imparato tanti anni fa, però dopo non l’ho più suonato. Lush Life è un pezzo, lungo, complicato, con una strofa complessa quasi importante come il tema. Era da un po’che tentavo di eseguire questo pezzo. Quella sera l’ho suonato ed è venuto fuori un brano di otto minuti, per piano solo, all’interno del concerto che poi finisce in Two Colors, un pezzo di mia composizione in cui suona il quartetto al completo».
Half the Fun è un lavoro che documenta un Franco D’Andrea sempre più proteso alla ricerca, alla sperimentazione, all’improvvisazione, dove la condizione «live» diviene il luogo dove tutto nasce e si compie: «E’ un disco strano… c’è un assolo di batteria molto lungo, di cinque minuti, eccezionale. Ho detto a Zeno che per me è uno dei più eccitanti assolo di batteria che ho ascoltato nella mia vita. Subito dopo mi è venuto di cominciare il pezzo Half the Fun, si erano messe in campo delle sonorità che si sposavano bene con questo pezzo».
Il disco è composto da cinque episodi al cui interno si ascolta e accade di tutto: «Noi abbiamo una serie di una cinquantina di pezzi che sono dei frammenti di brani che ho già eseguito, pezzi nuovi e brani di repertorio. In questo disco ci sono inoltre dei brani non originali di cui ho parlato prima».
Il primo episodio è lunghissimo, senza soluzione di continuità. Si apre «con i colori e i frammenti di Afro Abstraction che si stemperano in Altalena. Quest’ultimo è un walzer, melodico, già presente nel precedente disco ma in un’altra forma, più africaneggiante, che ne rappresenta una sorta di prima parte di Altalena. Poi c’è Turkish Mambo ed altre cose… E’ una musica fatta così. Potenzialmente suoniamo tutti ma ogni tanto qualcuno tace. Teoricamente non c’è mai una scaletta, c’è il pezzo. La forma scaturisce dal procedere di tanti piccoli episodi». Tra questi c’è la ripresa improvvisata di Cherries, che D’Andrea ha eseguito nel 1997, con un gruppo appena nato, e inciso con la Philology di Piangiarelli. Lo definisce «un pezzo lento e molto dolce»; e il conclusivo Via Libera «ripreso da un disco di piano solo che feci negli anni ottanta, e intitolato Es. Era un pezzo africanoide che ho incasinato per creare degli spazi di creatività». Il secondo episodio è il già narrato Half the Fun, «un brano per il quale vado pazzo, in cui ho lasciato tutto com’e tenendo per riferimento alcuni punti cardinali, come l’ostinato di basso che usa Ellington. Poi ci ho messo delle cose mie, come le immaginavo». Linee Oblique, terzo capitolo, «è più popolato di cose. C’è, di base, l’idea di lanciare il sax di Andrea Ayassot a cui ad un certo punto si aggiunge il contrabbasso di Aldo Mella, ne viene fuori un duetto improvvisato e delizioso». Il tutto poi sfocia in Anni Venti, «è un pezzo dalle caratteristiche completamente diverse rispetto al brano precedente. Esso è ispirato a quel periodo ed è suonato per la prima volta dal vivo». D’Andrea ricorda che durante l’esecuzione «ci siamo fissati sulla parte terminale del brano in attesa che succedesse qualcosa perché, se ricordo bene, a quell’epoca non avevo ancora elaborato un finale». Così la soluzione è arrivata nel conclusivo Douala, «dal sound africano, solare». Originariamente, era «un pezzo lungo, contenente un sacco di cose. Ho mantenuto solo una frase, un decimo del pezzo». Il già citato Lush Life apre il quarto episodio. L’esecuzione solitaria di D’Andrea si stempera nel pepato e conclusivo Two Colors, «ci voleva dopo la lunga esecuzione di Lush Life. Grapes, ultimo capitolo di un disco prismatico, «è in realtà un bis. Qualche volta io uso fare nel bis un pezzo dove in realtà facciamo i soli, ed altre cose. E’ un bis di chiusura dove c’è un assolo di contrabbasso che a me piace sempre ascoltare nel brano terminale».