Charlie Parker e Il ladro di suoni

Foto: Copertina del libro









Vittorio Giacopini: Il ladro di suoni

Editore: Fandango Libri

Carl Woideck: Charlie Parker. Vita e musica

Editore: EDT



Torna Bird. Perché Bird Lives, come stava scritto sui muri di New York dopo la tragica morte dello straordinario sax alto. Proprio la drammatica fine dell’uomo ha segnato l’entrata dell’artista nell’Olimpo dei miti, oscurando in parte le ragioni del musicista. Ancora oggi l’iconografia da “artista maledetto” rischia di relegare al sottobosco dei musicologi e degli studiosi la grandezza musicale di Parker.


A questo falò delle ovvietà hanno dato alcune risposte due libri di recente uscita sul mercato italiano; diversi nel profilo (a partire dalla forma saggio del primo al racconto, del secondo), ma sicuramente uniti dalla serietà con cui perseguono il loro intento di revisione nei confronti di Parker.


Il primo – quello di Woideck – è un ritratto a tutto tondo di Charlie Parker. La vita e le opere spiega il sottotitolo, che va inteso nel seguente modo: la vita verrà raccontata ma senza facili gossip, per capire il contesto in cui è maturata l’arte dell’uomo mentre la musica, quella sì, verrà sviscerata in tutte le sue forme possibili attraverso distinti capitoli che prendono in considerazione l’attività di Bird nei quattro periodi in cui può essere divisa la sua carriera. Vengono passate al vaglio le composizioni più importanti e per ognuna Woideck sapientemente riesce a fornire una nuova, fresca interpretazione. Il libro si giova dell’ottima cura con la quale Francesco Martinelli lo ha confezionato e le precise appendici disco-bibliografiche lo rendono un must anche per coloro che professionalmente vogliono accostarsi alla figura del sassofonista padre del bebop.


Chiudendo la parte biografica, Woideck spiega il suo approccio complessivo a Parker, anche se la frase è riferita solamente agli ultimi istanti della vita di Bird:


Tutti i protagonisti della vicenda sono morti, quindi può darsi che non sapremo mai quale delle versioni della morte di Charlie Parker sia quella vera. E questo ci lascia con la sua musica, come è giusto che sia.


A tanti anni dalla sua terribile fine ci interessano davvero i morbosi particolari della morte di Parker? Il suo mito si è da tempo incarnato in racconti, romanzi, poesie e cinema. Spesso con esiti alti, nobili. Per forza di cose è necessario -e doveroso- tornare anche alla sua musica, come ci propone Woideck; il resto era solo cronaca e ha già trovato la sua definitiva collocazione nella storia.


La traduzione italiana del libro di Woideck presenta, come si accennava in precedenza, numerose appendici al corpus originale; tra esse spicca una breve nota sull’italo-americano Dean Benedetti, che registrò e trascrisse moltissimi assoli di Parker.


Proprio questo personaggio, finora degnato di una riga o poco più nelle varie biografie parkeriane, viene illuminato da una nuova luce.


Woideck ne tratteggia brevemente biografia e personalità mentre Vittorio Giacopini nel libro Il ladro di suoni si cimenta addirittura con un prova letteraria dedicata al misterioso Dean. L’uomo che aveva registrato centinaia di ore di assoli di Parker, nastri in seguito misteriosamente scomparsi e che in molti vorrebbero ritrovare, quasi fossero un secondo Sacro Graal, come suggerisce lo scrittore.


Torre del Lago, Versilia, anni Cinquanta. Qui, in Italia, nella terra degli avi, Dean ormai gravemente malato viene a concludere la sua brevissima vicenda esistenziale, che Giacopini tratteggia a partire dalle poche note biografiche a sua disposizione, trasportandoci prima nell’America degli anni Trenta, quelli della formazione umana del musicista italoamericano e poi nelle sue peregrinazioni in giro per gli States, in cerca di se stesso (e di Parker) e poi ancora nei suoi tormentati ultimi giorni in Toscana.


Una debolezza che si trasforma in un punto di forza: dove la storia presenta dei vistosi buchi lo scrittore supplisce con fantasia e afflato poetico. come per esempio in questa esistenziale definizione del jazz, che si ricava dal ritratto di Dean Benedetti:


Anche nel jazz – la musica che ascoltava di continuo, disorientato e irritabile naufrago in un mare di noia e insofferenza – l’ossessione della norma è una tensione nascosta ma essenziale. C’è un unico modo giusto di fare le cose, e di suonare.


Sicuramente Bird agli occhi di Benedetti incarnò, fino ai limiti dell’ossessione, quel modo giusto di suonare. Ma Parker (e l’America) – pur oggetto di intense digressioni- rimangono sullo sfondo.


Con questo lavoro Benedetti, che i biografi parkeriani hanno spesso incasellato nella categoria degli spacciatori e dei parassiti che gravitavano senza requie intorno al sassofonista, torna al suo originario spessore di musicista, di appassionato del bop e folle discepolo Parkeriano. Tanto preso dal suo idolo da annullare se stesso:


Non poteva più suonare perché l’unica musica che ancora gli dicesse qualcosa era quella fatta da un altro.


Tra i vari Gillespie, Mingus e Monk ora anche Dean Benedetti ha un suo piccolo ma dignitoso spazio nel firmamento del bebop e questo grazie al risarcimento regalato dallo scrittore Giacopini a un personaggio condannato dalla sfortuna a una parabola esistenziale breve e infelice, troncata dalla malattia: la sua vita era già postuma da sempre.