Foto: da internet
Joshua Redman & Brad Mehldau Duo @ Roma.
Roma, Auditorium Parco della Musica – 8.5.2010
Joshua Redman: sax tenore, sax soprano
Brad Mehldau: pianoforte
A distanza di diversi anni Joshua Redman e Brad Mehldau sono tornati nuovamente insieme a far incontrare i loro strumenti, dapprima nel nuovo bel lavoro del pianista uscito quest’anno, Highway Rider, e poi in una tournée mondiale in completa solitudine. Entrambi iniziarono la proprie carriere circa vent’anni fa, quando ancora emergenti si misero in mostra proprio nel quartetto di Redman, sebbene lo stesso non concedesse molto spazio all’allora meno conosciuto pianista. I due tra l’altro non andavano particolarmente d’accordo e i loro cammini presero dopo qualche anno strade diverse. Annoverati all’epoca tra i giovani leoni del jazz moderno per la loro ventata di novità abbinata ad un talento straordinario, arrivano adesso, alla soglia dei quarant’anni, più maturi, ma con una già importante carriera alle spalle. Per questa sorta di reunion l’attesa e la curiosità era molta e la tappa romana all’Auditorium ha completamente ripagato il numeroso pubblico accorso.
I due hanno dato vita ad un concerto di rara eleganza e raffinatezza attingendo sia dal più classico repertorio jazzistico che da riferimenti pop e rock più vicini ai nostri tempi con brani che hanno contribuito alla formazione musicale di entrambi. L’inizio è però per un pezzo di Mehldau, Into The City, con il suono scuro del soprano di Redman in primo piano, strumento che non abbandonerà neppure nel seguente omaggio a Monk di Thelonious. Il sassofonista è più riflessivo e misurato rispetto al fiume in piena degli anni passati ricco di armonici e vertiginosi salti di ottave: ogni singola nota è adesso più ricercata in perfetta simbiosi con lo stile più classico di Mehldau. La prima parte è via via un crescendo, con il pianista nativo di Jacksonville che piano piano sale in cattedra tessendo delle trame più ricercate e complesse, sofisticate da un punto di vista ritmico e raffinate armonicamente, girando costantemente intorno alla linea melodica principale. Ogni brano è un momento a sé e anche la scaletta segue un andamento non definito, ma stabilito lì per lì dai due in brevi siparietti. Redman alterna con disinvoltura al tenore il soprano con cui sorprendentemente fa vedere le cose migliori, mentre Mehldau regala emozioni seguendo il suo rituale fraseggio melanconico in brani che svariano dal bebop di Parker a Rollins, passando per una intensa quanto insolita versione di Smell Like Teen Spirit dei Nirvana. Unica perplessità la mancanza quasi assoluta di scambi, come invece era lecito attendersi da un concerto basato sul dialogo, salvo in un raro momento, tra l’altro nemmeno troppo riuscito. Alla fine comunque il trionfo tributato dal pubblico romano è stato l’inevitabile epilogo, con l’obbligo da parte dei due di doversi sdebitare con due bis acclamati a gran voce ed una conclusiva Airegin da incorniciare.