Miles Davis e i quindici CD da collezionare – Parte Prima

Foto: Copertina del Catalogo della Mostra “We Want Miles”










Miles Davis e i quindici CD da collezionare

Ovvero una veloce biografia attraverso i dischi storici.

Prima Parte.


Resta un’impresa difficile da portare a compimento la scelta dei dischi fondamentali di Miles Davis, perché il numero delle singole incisioni risulta di circa diecimila titoli. Nel limite del minimo storico il consiglio equanime verte su tre microsolco LP originali che di diritto dovrebbero appartenere alla cultura musicale di tutto il XX secolo: The Birth Of The Cool, Kind Of Blue e Bitches Brew, ossia rispettivamente la summa del nascente cool, l’inizio della rivoluzione modale e la nascita del cosiddetto jazzrock.


Se ne potrebbero aggiungere altri tre riguardanti via via il Miles Davis hardbopper sui generis a metà dei Cinquanta, il leader nella proficua collaborazione orchestrale con Gil Evans e il trombettista del grande levigato quintetto prima della svolta elettrica: dunque la scelta ricadrebbe Cookin’, Porgy And Bess e Miles Smiles. Ma rimane ancora un’aggiunta oggi forse non più provocatoria, come solo dieci o vent”anni fa: l’album che all’epoca unanimamente venne giudicato il più brutto dell’opera omnia milesiana, On The Corner, risulta oggi utilissimo per comprendere la funkizzazione di tutta la successiva musica afroamericana, non solo popolare.


Tuttavia occorre redigere (e commentare) un elenco di almeno quindici CD che abbiamo scelto per rappresentare il meglio della produzione davisiana e che hanno una particolarità in comune: si tratta di frequenti ristampe (o rimasterizzazioni) sul mercato fonografico del compact disc (anche scaricabili in rete), opere ampiamente recensite da riviste storiche come Musica Jazz, firmate da svariati eccellenti critici, grosso modo lungo gli anni Novanta (il periodo aureo dello stesso oggetto CD), di cui vale la pena estrapolare alcuni passaggi indicativi del valore estetico, culturale (o specificamente audiografico) di ciascun capitolo milesiano, che in qualche caso, attraverso le cosiddette ‘registrazioni complete’, mette assieme interi cicli o lunghi periodi caratterizzati da grandiosa unità stilistica.


La scelta su Miles Davis e i quindici CD da collezionare (ovvero una veloce biografia attraverso i dischi storici) è altresì intercalata da alcune celebri dichiarazioni di Miles Davis (nato il 26 maggio 1926 ad Alton nell’Illinois e messosi in luce nel quintetto di Charlie Parker) suddivise decennio per decennio, semplicemente per un motivo di facile consultazione.


Benché uscito solo a posteriori come album, Birth Of The Cool è da sempre considerate un disco unitario, perché raccogliere gli esiti di un grande sodalizio e una musica di nuove concezioni; così ricorda Miles: “Affittai un posto per provare, organizzai le sessioni e feci in modo che tutto funzionasse. Mettevo insieme queste “stronzate” con Gil e Gerry nell’estate del 1948 fino a quando non arrivammo a registrare nel gennaio e nell’aprile del 1949 e poi ancora nel marzo del 1950: Per Maurizio Franco il CD The Complete Birth Of The Cool, (Capitol Jazz, 1949-50), nonostante qualche imperfezione, resta fondamentale: “Al di là del titolo, che identificava più che uno stile un atteggiamento espressivo, l’opera rivalutava il lavoro d’arrangiamento, la ricerca di un equilibrio tra scrittura e improvvisazione. Inoltre il sound di questo nonetto era assolutamente originale (…) La bellezza delle composizioni e l’originalità del sound fanno di queste registrazioni, che pur presentano alcune sbavature esecutive, un imperdibile documento”


Passano cinque-sei anni e “il gruppo che avevo messo in piedi con Coltrane – ricorda sempre Davis – trasformò me e lui in una leggenda. Quel gruppo mi segnalò sulla mappa del mondo musicale, con tutti quei grandi album che realizzammo per la Prestige. E il primo a usicre, è Cookin’ (Original Jazz Classics, 1956); per Angelo Leonardi “Il disco è un significativo capitolo del jazz moderno e contiene il celebrato My Funny Valentine, che è tra i capolavori di Miles. E’ una ballad registrata senza Coltrane e il sound struggente e notturno della tromba caratterizza pienamente il tema. Non si accusi l’etichetta di avarizia per l’assenza di alternate takes: come molti sanno il gruppo di Davis registrò solo una versione di ciascun brano”


A proposito di Miles Ahead, l’autore rammenta che “eravamo una buona squadra e lo compresi fino in fondo quando facemmo Miles Ahead: Gil e io eravamo qualcosa di veramente speciale quando stavamo insieme”. E Gian Mario Maletto, a proposito di Miles Ahead (Columbia, 1957) scrive infatti che “Il fascino del suono sottile e straniato di Davis (che qui fece uso soltanto del flicorno), veleggiando sopra il morbido tappeto creato dai fantasiosi disegni di Evans e da diciannove strumenti anche di origine “classica”. Il repertorio, rispetto alle loro opere successive, era di un’estrema varietà. (…) Il disco va guardato nel suo insieme, ed Evans aveva del resto collegato quel materiale in una sorta di organica suite”.


Per quanto riguarda Porgy And Bess, il capolavoro di George Gershwin, ma forse anche il più originale melodramma statunitense, la versione strumentale milesiana è la miglior rivisitazione di tutti i tempi. E Davis ha le idee chiare: “Quello che volevo erano dei toni semplici, diretti”, perciò niente Trane e Cannonball. Risulta altresì consapevole dei problemi suoi e dei meriti altrui: “Fu difficile ma ce la feci. Gli arrangiamenti di Gil erano veramente grandi. Claudio Sessa su Porgy And Bess (Columbia, 1958) e su quel periodo in generale osserva che “Gli storici frutti musicali di trombettista e arrangiatore, documentati dal cofanetto integrale pubblicato nel 1996 dalla Columbia, si fanno ora gustare anche su singoli compact, alla portata di tutte le borse. La superba suite gershwiniana si arricchisce qui di due belle versioni alternative, I Loves You Porgy e Gone, poste dal compilatore del nuovo compact al termine dei brani ufficiali”.


E che dire di Kind Of Blue? l’autore semplicemente afferma che il disco “seguiva la traccia modale che avevo cominciato con Milestones. Questa volta avevo aggiunto qualche altro tipo di sound che mi veniva dall’essere stato in Arkansas, quando ce ne tornavamo a casa dalla Chiesa e sentivamo questi eccezionali gospel; ma Kind Of Blue (Columbia, 1959) resta proprio “l’opera culto del jazz modale – come rammenta Angelo Leonardi – uno degli album più amati e più influenti nella storia del jazz. (…) Il trombettista ammise che il percorso fu costruito “attorno al modo di suonare di Bill Evans”, ma scrisse i temi e li presentò ai musicisti solo al momento della session, lasciandoli liberi di improvvisare su scale al posto di accordi. Immerso in una dimensione sospesa Kind Of Blue si snoda attraverso brani di rarefatto, suggestivo lirismo”.