Cat Sound Records – CSR 030909 – 2009
Manuel Trabucco: sax alto
Filippo Vignato: trombone
Frank Martino: chitarra, live electronics
Stefano Dallaporta: basso
Diego Pozzan: batteria
Ospiti in No one knows:
Roberto Manuzzi: sax soprano
Leo Carboni: tromba, cornetta
Glauco Benedetti: tuba
A rendere evidente una delle possibili chiavi di lettura di Embarassing days, disco di esordio del M.O.F. Quintet, è l’introduzione dell’ultima traccia del disco, vale a dire No one knows: il brano dei Queens of the stone age viene aperto da Black Bottom Stomp di Jelly Roll Morton, accentuata nei suoi movimenti dalla presenza di cornetta, soprano e tuba, a formare una piccola brass band. Nel tema di Morton si intersecano le note del brano dei Queens of the stone age come a voler mostrare in maniera lampante la voglia e la necessità di rapportarsi e utilizzare musiche provenienti da mondi diversi, da tutto il novecento e dalla modernità di questo primo decennio del duemila.
Le chiavi di contatto con il rock, soprattutto quello di annata, sono diverse; ad esempio, echi di Pink Floyd o degli Who si ritrovano in progressioni armoniche e suoni. SE è scontato ormai, affermare come nel percorso degli ultimi quarant’anni i jazzisti abbiano ripreso e interpretato temi, sonorità e metodologie provenienti dal rock, come da altri generi, è altrettanto naturale immaginare come musicisti che hanno men di trent’anni possano trovare ispirazione in campi differenti.
Embarassing Days è un disco di jazz moderno: senza pretendere di essere rivoluzionari, Trabucco, Vignato, Martino, Dallaporta e Pozzan portano nella loro cassetta degli attrezzi Josh Homme e Jelly Roll Morton, l’utilizzo delle tecnologie e le strutture del jazz, una gestione ritmica capace di accogliere swing e ritmi più aggressivi, il rispetto e l’ascolto per tutti i più influenti musicisti del novecento. A questo bagaglio ampio e variegato di strumenti si aggiunge una formazione concepita in modo, anche in questo caso, peculiare senza essere stravaganti: alto e trombone come sezione fiati, le armonie affidate alla chitarra e ai suoni prodotti da Martino e la ritmica affidata a basso elettrico e batteria.
Cinque musicisti giovani, originari di regioni diverse e convenuti a Bologna – altro elemento da notare, anche se, ancora una volta, non sorprendente. E’ ormai assodato come il jazz italiano stia creando, con questa nuova generazione e grazie ai ripetuti incontri offerti da seminari, workshop e concorsi, una scena nazionale ed è altrettanto chiaro come il DNA di un gruppo creatosi attraverso un processo simile sia intrinsecamente più variegato.
E, ancora, va sottolineata la proprietà di linguaggio dei cinque in tutte le direzioni in cui viene incanalato il disco: Embarassing days riesce ad “imporsi” ascolto dopo ascolto e rivela soluzioni e particolari ad ogni nuovo passaggio nel lettore, grazie alla disposizione attenta dei vari elementi e all’equilibrio cercato senza forzature e strappi.
Con questo torniamo di nuovo su No one knows. Se la lettura del tema è a tutta prima fedele all’originale, senza voce, con toni più pacati e senza cervi impazziti al volante, i riflessi “bandistici” grazie all’intervento dei tre fiati trapassano nell’arrangiamento pensato per gli assolo e portano a conclusione il percorso della formazione attraverso generi e suggestioni, inserendo anche una nota scanzonata e divertente.
L’atteggiamento di rispetto per la tradizione passa anche attraverso l’ironia delle foto di copertina con il quintetto vestito con i grembiuli da scuola elementare e i calzoni corti. Come si diceva in precedenza e come afferma anche Marco Tamburini all’interno del libretto del CD, la musica del quintetto scaturisce alla confluenza di ascolti differenti, lo sguardo rivolto saldamente al presente, ma con grande rispetto per le tradizioni del jazz e, in generale, per la musica del novecento.