Foto: Alberto Lattanzi
Slideshow. Caterina Palazzi.
Jazz Convention: Caterina, partiamo dal tuo recente debutto discografico a tuo nome?
Caterina Palazzi: Dunque, Sudoku Killer è il mio primo cd da leader. Vi ho registrato le mie composizioni, con il mio gruppo (Giacomo Ancillotto alla chitarra, Danielle di Majo al sax, Maurizio Chiavaro alla batteria). E’ un disco di jazz, ma molto contaminato: sono infatti evidenti le influenze indie/rock e mediterranee… Lo definirei un cd cupo, noir, ma con sprazzi di ironia. Una particolarità è che le mie composizioni hanno tutte una trama, una storia che racconto sempre sul palco prima di eseguire il pezzo in questione. Per esempio il pezzo Vampiri (il “cavallo di battaglia” del Caterina Palazzi Quartet) parla di una docile bambina che crede fermamente nell’esistenza dei vampiri; una notte decide di cercarli nel bosco, per scoprire se esistono davvero o se sono solo una sua fantasia, e. li trova! Alla storia corrispondono due momenti musicali del brano, il primo è soft e descrive la bambina, nel secondo arrivano le distorsioni rock che impersonano lo spuntare dei vampiri.
JC: Quando è uscito esattamente il disco?
CP: Il Cd è uscito a febbraio e per ora ne sono molto soddisfatta: è in corso un tour di presentazione disco in tutta Italia di 30 date, ma fortunatamente dopo le prime dieci abbiamo già dovuto chiedere la ristampa, abbiamo finito tutti i dischi. Ci tengo a sottolineare che Sudoku Killer non è un lavoro esclusivamente mio, è un lavoro di gruppo! Tutti abbiamo contribuito a creare il sound e le atmosfere del disco, ogni musicista ha dato se stesso. Non sono una singola musicista che ha composto a casa da sola, e poi ha chiamato tre turnisti per realizzare il disco. Al contrario, noi ci consideriamo un gruppo vero e proprio, certo con una leader, ma i pezzi che ho scritto sono nati anche sapendo che li avrebbero suonati loro, con il nostro sound collettivo che abbiamo costruito in tre anni di lavoro e concerti.
JC: Ci racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
CP: Mia madre è un’appassionata di musica classica, quindi ho ricordi molto remoti di ascolti casalinghi di Mozart e Chopin, e di film musicali sulle opere classiche (Il Barbiere di Siviglia, Fantasia di Disney, eccetera) che vedevo con lei. Ascolti che poi ho approfondito sempre da piccola, frequentando il coro della Filarmonica Romana.
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una musicista jazz?
CP: A quattordici anni ho iniziato a suonare la chitarra, ero appassionata di punk/rock. In seguito mi sono avvicinata al blues, e sono rimasta affascinata dall’aspetto improvvisativo… va da sé che ho cominciato ad ascoltare con curiosità il jazz, nel quale l’improvvisazione è un aspetto fondamentale. all’inizio ho fatto un po’ di fatica, lo trovavo una musica un po’ fredda, ma poi ascoltandolo a fondo ho iniziato ad appassionarmi davvero.
JC: La bellezza ha influito nella tua carriera artistica?
CP: Bellezza? non saprei, non sono una modella o un sex simbol, nessuno mi ha mai definito una bellezza quindi questa domanda mi coglie un po’ di sorpresa, sebbene mi lusinghi. Posso dire però che l’essere donna può avere un po’ influito sulla mia carriera, nel bene e nel male: sicuramente ho destato più curiosità, ma ho anche dovuto lottare contro pregiudizi secondo cui, visto che di musiciste jazz che hanno fatto storia ce ne sono pochissime, le donne musiciste non sono mai un granché, e dopo un po’ mollano per fare le mamme. Tantissimi si stupiscono del fatto che io sia contrabbassista e compositrice!
JC: Ha ancora senso oggi la parola jazz? E per te cosa rappresenta?
CP: Credo che, ad oggi, la parola jazz sia un po’ ambigua. Molti la usano per riferirsi alla musica degli anni passati, soprattutto anni ’40 e ’50, come se il jazz fosse sinonimo di bebop o di swing. Io personalmente credo che il jazz sia un’attitudine. molti gruppi moderni suonano jazz, anche se hanno cambiato la ritmica in maniera drastica, ma improvvisano e cercano qualcosa di nuovo, non sono manieristi ma sperimentano nuove soluzioni per andare avanti e creare un’evoluzione musicale. Per me jazz è improvvisazione e sperimentazione. So che molti definiscono la mia musica “non jazz”, ma io credo che, sebbene molto contaminato, lo spirito sia quello.
JC: Esiste un’identità femminile nella musica jazz?
CP: Non saprei. nella musica in generale, sicuramente le donne hanno una sensibilità diversa, e questa viene fuori quando suonano. Io collaboro spesso con musiciste donne e devo dire che con alcune mi trovo bene, forse non percepisco una vera e propria identità femminile nel jazz, ma in effetti c’è qualcosa di diverso (per esempio, è molto raro trovare donne musiciste che facciano “troppe note” o che siano prolisse, difetto di molti jazzisti). Comunque, non sono affatto sicura di poter riconoscere da un cd che ascolto se i musicisti siano donne o uomini, credo sia quasi impossibile.
JC: Perché hai scelto proprio il contrabbasso come strumento?
CP: In realtà ho iniziato da chitarrista. una scelta un po’ forzata, visto che in casa avevamo una vecchia chitarra disponibile e “prima di comprare un basso, meglio appurare che nostra figlia non si stufi subito della musica”. Dopo 8 anni mi sono resa conto che, sebbene io sia sempre stata fermamente convinta di voler fare la musicista dall’età di quindici anni, avevo sbagliato strumento, con la chitarra non avevo la giusta sintonia. Sono dunque passata al contrabbasso, che è uno strumento apparentemente “minore” ma che in realtà è la spina dorsale della musica, il battito cardiaco che la sorregge. Inoltre, la fisicità dello strumento mi ha sempre affascinata, è quasi un altro essere umano che ti porti dietro, a volte hai l’impressione di essere in due sul palco, e non di “suonarlo” bensì di suonare con lui.
JC: Quali sono i tuoi riferimenti?… jazzisti, contrabbassisti, musicisti…
CP: Dunque, i miei riferimenti sono molteplici, jazzistici e non. Ecco alcuni musicisti che mi hanno profondamente influenzata: Bill Frisell, Charles Mingus, John Zorn, Bill Evans, l”Est Trio, i Nirvana, i Pearl Jam, Jimi Hendrix, Brad Meldhau, Fabrizio De Andrè.
JC: Qual è stato per te il momento più bello della tua carriera di musicista?
CP: Sicuramente è stato quest’anno, quando sono arrivati gli scatoloni del cd Sudoku Killer. Non credo di essere stata mai più felice di quando ho scartato il mio primo cd da leader, con la copertina dei miei sogni in “carne ed ossa”, e non più in pdf. E’ stata una immensa soddisfazione, una sorta di primo traguardo musicale che ho finalmente tagliato. Il tutto seguito da un bel tour nel Nord Italia in cui Sudoku Killer è stato apprezzato. Credo che per me questi mesi siano i più felici della carriera, spero di non perdere questo entusiasmo.
JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?
CP: I miei! Quelli del mio Quartet: Giacomo Ancillotto, Maurizio Chiavaro, Danielle di Majo. non li sostituirei mai con musicisti più noti e famosi, il suono del gruppo l’ho costruito con loro! Poi ho un trio con la pianista siciliana Sade Mangiaracina, con cui amo suonare, e un gruppo folk con l’organettista Massimiliano Felice, molto interessante.
JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
CP: Ora che è appena uscito il disco, ho intenzione di promuoverlo al meglio con l’attività live, abbiamo la fortuna di suonare molto in tutta Italia, i cd vanno a ruba e spero che continui così. Il mio sogno è quello di dedicarmi quasi esclusivamente al mio progetto Caterina Palazzi Quartet, accompagnandolo ad un altro paio di gruppi che mi stiano a cuore e sempre meno alle collaborazioni occasionali, che sono divertenti e costruttive ma non permettono di costruire un solido sound collettivo.