Andrea Ambrosi – Undercover

Andrea Ambrosi - Undercover

Radar Records – radar 40013 – 2010




Andrea Ambrosi: contrabbasso

Cristiano Arcelli: sax alto

Francesco Diodati: chitarra

Marcello Lupoi: pianoforte

Alessandro Paternesi: batteria

Ramberto Ciammarughi: pianoforte

Marco Tamburini: tromba

Pedro Spallati: sax tenore

Manuele Morbidini: sax alto







Alla guida di un quintetto giovane, ben assortito ed equilibrato, Andrea Ambrosi propone le nove tracce di Undercover, senza imporsi con forza all’ascoltatore, senza frenesie: brani articolati, ma non per questo cervellotici, vanno a formare un disco pacato, realizzato con maturità rilassata.


Undercover, clandestino, incognito, segreto. E la stessa copertina che ritrae una figura scura – mossa, sfocata – in campo grigio, il tutto in un rigoroso bianco e nero, da una parte lascia tutta l’indeterminatezza del titolo, le suggestioni non risolte. Disco pacato, si diceva in apertura: Ambrosi non tiene a freno il ritmo – non mancano infatti tempi medi come Yin yang o sostenuti come Free fall – ma disegna con la sua scrittura atmosfere morbide, spesso sospese, mai spigolose. Un umore vagamente malinconico connota alcuni temi, ma, nel complesso, nel disco prevale una vena lirica e riflessiva, capace di essere delicata senza indulgere in sentimentalismi. Tra i brani più efficaci in questo senso Eternal Unreal Love, ballad suonata in trio con l’intervento al pianoforte di Ramberto Ciammarughi: linee sospese, rarefatte, ben sviluppate nelle improvvisazioni.


Come per ribadire le intenzioni del percorso London Time – il brano successivo ad Eternal Unreal Love simile, se si vuole, intensità e direzione musicale – viene eseguito dal quintetto “titolare”. Questa giustapposizione permette di vedere all’opera formazioni differenti applicate nel medesimo verso: Cristiano Arcelli e Francesco Diodati trovano soluzioni interessanti per applicare il proprio linguaggio solistico ai temi del contrabbassista e riescono a dare insieme alla ritmica completata da Marcello Lupoi, al pianoforte e Alessandro Paternesi, una visione compatta – anche se leggermente più sferzante – del materiale proposto da Ambrosi. Tanto che i due brani, insieme alla title track, aperta da una intensa introduzione di chitarra, vanno a costituire in pratica una piccola suite, centrale per posizione e importanza, fortemente caratterizzante per quanto riguarda lo spirito del disco. Idee e intenzioni riprese poi nella conclusiva e intima Things I would.


Il lavoro di arrangiamento di Ambrosi, importante quanto se non più della scrittura stessa nel definire spazi e volumi del disco, agisce nella direzione di cucire intorno agli interpreti un vestito che tenga conto delle inclinazioni personali e del rispetto della tradizione, delle intenzioni specifiche del compositore e del gusto moderno. Free fall o Monk at all dove l’ispirazione rimanda maggiormente alla tradizione, allo swing e, al contrario, in Tamagotchi, pezzo di apertura del disco, mettono in evidenza il lavoro di sintesi di Ambrosi rivolto a sollecitare o a contenere, a seconda dei casi, l’istinto e lo stile dei propri compagni per trovare il punto mediano tra tutti gli elementi messi in campo, tra le spinte dei musicisti e l’ispirazione di partenza, tra forza e sospensione, grazie anche alla capacità di gestire il disegno generale, sempre attento a combinare immaginazione e rigore.