Giacinto Piracci – Seven tales of guilt

Giacinto Piracci: chitarra
Umberto Muselli: sax tenore
Giulio Martino: sax soprano, sax tenore
Francesco Desiato: flauto, flauto alto, flauto basso, sax baritono
Ergio Valente: pianoforte
Umberto Lepore: contrabbasso
Leonardo De Lorenzo: batteria

Dodicilune Dischi – 2024

Seven tales of guilt più che di un disco potrebbe essere il titolo di una raccolta di racconti. In verità le due cose sono interconnesse. Piracci si è ispirato ai libri e alla vita ed ha tradotto quelle lezioni ed emozioni in musica. Ha intrecciato riflessioni, pensieri e letture con i suoni che appartengono alla sua cultura jazzistica. Detto così sembrerebbe un progetto dagli esiti matematici invece ascoltando il disco ci si rende conto di come alla base ci sia solo un semplice canovaccio dove il leader assieme ai musicisti ha costruito la musica seguendo di volta in volta istinto ed emozioni. Il risultato è un costrutto musicale dove i volumi si avvicinano alla resa di un’orchestra, una sorta di afflato comunitario, partecipato, reso tale dagli intrecci di note fluviali e dall’interplay dei musicisti. Anche quando il leader si avventura in sortite in solo il legame con gli altri non viene mai interrotto restando solido ed interconnesso. And darkly bright, are bright in dark directed, riprende un sonetto shakespeariano dal taglio scuro e umbratile. Immaginazione e sogni introducono il disco con questo primo e breve brano. La poesia iniziale cede il passo ad un’azione più frenetica condotta dai fiati di Martino e Desiato, che come due uccelli giocolieri si intrecciano nello spazio di Minor Figure. Haiku in eight bars sposa la poetica giapponese espressa attraverso gli assolo dei fiati che attraversano le stagioni della vita. Un ostinato di basso porta l’ascoltatore nei territori magici di Borges con Finzioni. Qui Piracci fa conoscere le sue capacità chitarristiche spingendosi nei territori blues sorvegliato a vista dal baritono di Desiato. Ombroso, umbratile e nostalgico è l’andamento di Ospedale delle bambole: il pianoforte cuce i ricordi e il flauto ne canta le gesta. Bartleby, di melvilliana memoria, ricostruisce l’atmosfera di gioia attraverso un valzer jazzato, dinamico e partecipato. Seven tales of guilt si chiude con l’unico brano non originale presente nel disco, Heaven. È tratto dal Secondo Concerto Sacro di Duke Ellington e funge da contraltare visivo e luminoso alle oscure atmosfere shakespeariano che hanno aperto un disco ben costruito e finemente suonato.


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