Roma, Casa del Jazz – 7.6/6.8.2024
Foto: Luca Labrini
Oltre 23 mila spettatori, 41 concerti e ben nove sold out. Questi sono i numeri, ancora una volta vincenti, del festival Summertime, ormai piacevole appuntamento estivo della Casa del Jazz. Successo meritato per un cartellone ben assortito che ha saputo sapientemente alternare grandi nomi internazionali, esclusive italiane e interessanti nuove sonorità. Tra i primi, uno gli eventi più attesi è il ritorno in piano solo di uno dei più importanti e storici esponenti del glorioso jazz sudafricano Abdullah Ibrahim. Ascoltare ancora oggi il suo piano è un privilegio, grande testimone di una sintesi perfetta tra tradizione africana e il jazz americano d’avanguardia. Alla soglia dei suoi novant’anni, proprio come la sua ultima apparizione romana di diversi anni addietro l’artista di Cape Town esegue soltanto un lunghissimo medley in cui vengono via via ripresi i suoi temi più celebri. Fin dalle prime note, Ibrahim rapisce gli spettatori con le sue melodie in cui ogni nota è scandita e essenziale in un dolce viaggio musicale che rimanda a luoghi lontani. Un breve bis finale chiude un concerto di un grande artista che ancora emoziona in un ascolto che richiede attenzione, forse penalizzato dal contesto all’aperto che inevitabilmente distrae.
Protagonista molto atteso anche il quartetto di lusso messo in piedi dal sassofonista americano Chris Potter per l’incisione del suo nuovo album Eagle’s Point e del suo successivo tour di presentazione. Con il leader, autore della maggior parte dei brani e sempre elegante in un bob moderno ma estremamente lirico, una formazione davvero stellare con il pianista Brad Mehldau, senza pari quando senza disgressioni si mette al servizio dei suoi sodali, la voluminosa batteria di Johnathan Blake e il sopraffino contrabbasso di John Patitucci che spesso spicca su tutti. Quattro bandleader che non si pestano mai i piedi ma si incalzano a vicenda in un contesto dove l’interplay, frutto anche della lunga tournée di presentazione, è davvero incredibile in un’alchimia ottima che consente ai quattro di stupire e improvvisare insieme divertendosi.
Sold out anche per il ritorno in duo formato dal trombettista Paolo Fresu e dal pianista americano Uri Caine. I due avevano iniziato questo fortunato incontro proprio qui a Roma 22 anni fa allo storico club la Palma e da allora, oltre a numerosi concerti insieme, anche la pubblicazione di tre fortunati album, l’ultimo dei quali è uscito proprio quest’anno per l’etichetta Tuk Records. È proprio da questi tre lavori che i due attingono in un repertorio che non presenta sorprese ma che è sempre una gioia ascoltare. I brani vanno con estrema fluidità e classe dal Seicento italiano di Monteverdi agli Standard americani fino alle composizioni originali dei due grazie a un’intesa finissima ormai consolidata in un concerto questa volta breve ma intenso.
Attesa anche per l’unica data italiana della polistrumentista Meshell Ndegeocello, passata lo scorso anno all’etichetta americana Blue Note Records con la pubblicazione dell’album The Omnichord Real Book che l’apprezzata compositrice qui presenta. La cantante e bassista in realtà si vede e si sente poco, suona il basso soltanto nei primi due brani e si relega solamente a dirigere una musica particolare sì ma mai coinvolgente. Un’artista apparsa svogliata e da cui ci si aspettava giustamente di più.
Ben più trascinante invece l’esibizione della cantante americana Cécile McLorin Salvant che rimanda alle grandi voci degli anni 50, maturata e di molto rispetto alla prima apparizione italiana ormai più di 10 anni fa. La cantante tiene il palco in maniera splendida, quasi teatrale, si diverte con il suo trio che l’accompagna in un repertorio frizzante dove non mancano gli omaggi ai suoi riferimenti Carmen McRae e Bessie Smith, così come i pezzi originali e i grandi classici. Una scaletta che esalta le doti vocali di un’artista che ormai si può considerare davvero nell’olimpo delle voci femminili di oggi.
Moderno e spinto anche il bob proposto dal quartetto di Walter Smith III che si fa apprezzare al sassofono tenore per un suono diretto e caldo in un fraseggio alle volte fin troppo prolisso ma nel complesso sempre interessante. Anche nuove tendenze presenti in cartellone nella sezione Newaves in cui spiccano i nomi di Alfa Mist e di Alabaster DePlume che si dividono una serata partecipata da tanti giovani. Il pianista inglese conferma la sensazione che si fa preferire in studio rispetto alla dimensione live capitanando un quintetto che mai impressiona e sorprende mentre si fa decisamente preferire la prima parte affidata al sassofono di Alabaster DePlume a completare un potente trio con una ritmica tutta al femminile. Un incrocio tra post rock, jazz e avanguardia che riesce ad entusiasmare facendo sentire finalmente qualcosa di diverso ed energico.
Ancora una volta un doveroso plauso alla Casa del Jazz che conferma anno dopo anno, per quantità e qualità, Summertime come uno dei migliori festival jazz non solo in Europa.
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