Kathya West: voce, mbira, flauto etnico, campane tibetane, percussioni
Alberto Dipace: pianoforte
Danilo Gallo: contrabbasso, basso balalaika, chitarra suonata con archetto, flauto cinese
Caligola Records – 2023
Il trio “The last coat of Pink”, dopo aver omaggiato i Pink Floyd nel primo album, dedica la seconda opera a Bjork, icona del pop islandese, voce personalissima e autrice dallo sguardo ampio, spaziante dalla tradizione della sua isola alle sonorità elettroniche, dal rock ad un certo tipo di jazz sperimentale. Il gruppo lavora sul repertorio della cantante di Reykjavik con il dovuto rispetto, ma apportando i necessari aggiustamenti, per adattarlo al sound particolare del terzetto, venuto fuori prepotentemente già nel primo capitolo. Si può, anzi, affermare che l’intesa nel trio sia ancora migliorata e che ognuno dei componenti abbia ben chiaro il ruolo da svolgere all’interno della formazione, per ottenere principalmente proprio quel suono collettivo così caratterizzato.
Kathya West interpreta a modo suo il mondo musicale di Bjork, sciorinando un canto sussurrato che sale piano piano di tono, fra tensione e distensione alternate. La voce lambisce le parole, le trascina, allarga le scansioni quando va in progressione e rivela una attenzione scrupolosa sui testi e sul loro significato. Nel canto senza parole, poi, la vocalist mette in mostra una musicalità scarna molto insinuante. Per offrire un contributo timbrico all’insieme, la West si destreggia anche con percussioni e strumenti etnici.
Danilo Gallo disegna melodie o espone armonie con una forza espressiva davvero ragguardevole. È lui il motore del trio, la voce-guida, che indica la strada, la sostiene, pizzicando le corde del contrabbasso, o sfregandole con l’archetto efficacemente, per dar vita ad un jazz che, contaminandosi con il pop d’autore, si arricchisca, acquisti sfumature e fascino inconsueti. Anche Gallo si impegna pure con il flauto cinese, il basso balalaika, per accrescere la tavolozza dei colori a disposizione.
Alberto Dipace, da parte sua, esibisce un pianismo meditato, avviluppante. Ogni nota ha un peso specifico e una fisionomia precisa, infatti. Il fraseggio del tastierista, milanese di adozione, è in qualche modo debitore dei pianisti nordici, stile ECM. Non si tratta, però, di una copia senza qualità dei modelli di riferimento. C’è dentro calore, profondità e una grossa avvertenza tematica nel pianismo di Dipace, non traslati semplicamente dal linguaggio, dal mood degli scandinavi.
“Water’s break”, in conclusione, conferma la capacità del gruppo di scavare dentro il repertorio di giganti del pop (dai Pink Floyd a Bjork) e di trarne linfa vitale per confezionare una proposta trasversale, del tutto degna di essere ascoltata.
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