Michele Sperandio: batteria, percussioni, effetti
Marta Giulioni: voce, effetti
Simone Maggio: pianoforte, synt, Fender Rhodes
Lorenzo Scipioni: contrabbasso, basso elettrico
Barly Records – 2024
Il mare, la sua finita infinitezza, la profondità, la calma irrequieta, il blue che si confonde con il cielo e le sue storie senza tempo. Parte da qui Michele Sperandio, batterista di professione ma musicista per vocazione, da una serie di aggettivi per costruire il suo progetto. Una serie di intrecci narrativi dove i musicisti che lo circondano hanno libera circolazione in questo mare di suoni. Lui, il leader, non usa questo suo ruolo per primeggiare all’interno del quartetto ma adatta la batteria alle esigenze dei singoli strumenti completandone la funzione armonica e melodica. Ne risulta un disco aperto, nel senso che i singoli musicisti sono liberi di navigare nel mare della musica avendo come stella polare il jazz ma frequentando porti dove trovano approdo anche la canzone d’autore e il progressive. Sperandio ha costruito degli arrangiamenti efficaci e in grado di valorizzare sia le caratteristiche delle singole composizioni che quelle dei musicisti. Come una sirena emerge la voce incantevole di Marta Giulioni, strumento aggiunto ed essenziale per la riuscita del progetto di Sperandio. Un ruolo notevole dal punto di vista creativo lo svolgono anche Simone Maggio alle tastiere e Lorenzo Scipioni al basso. Il batterista ha raggruppato nel suo disco alcuni delle composizioni più belle e significative che hanno come tema l’acqua e il mare. Sperandio ha reso leggeri, quasi impalpabili i singoli brani. Vi ha donato un profondo senso di calma che si coglie anche quando le dinamiche sono veloci e ritmate. Insomma, la sua musica riesce a creare nell’ascoltatore quel senso di trasporto, di infinitezza e raffinata leggerezza che uno coglie stando seduto di fronte al blu infinito. The Sea of Music si apre con il cantico di Giulioni che intona la tradizionale The Water is Wide. Un inno che cresce minuto dopo minuto scandito dalle parole e dalla voce di Giulioni. Dolce e gentile è anche Island di Robert Fripp mentre un pò tenebrosa è Formentera Lady dello stesso Fripp. Siamo nei territori del progressive che qui perde in durezza ma acquista in melodia e scioltezza. Song to Siren di Tim Bucley vive qui di nuova vita grazie all’apporto di più strumenti, del canto, del contrabbasso e della voce di Giulioni. È in Sea Song, in versione jazz, di Robert Wyatt che la musica raggiunge il suo apice – sempre alto in verità -. Il piano si muove libero di attraversa le diverse correnti pianistiche mentre la voce rievoca modernisticamente i borbottii originari di Wyatt. Non è da meno Shipbuilding di Elvis Costello. L’enfasi del menestrello inglese viene addolcita rendendo la dimensione blues della composizione più dolce, dinamica e rasserenante. Anche qui la voce recita un ruolo primario incarnando Costello, la tromba di Chet Baker e Robert Wyatt allo stesso momento. Il disco scivola via come una feluca, che rientra in porto al termine del suo viaggio, con l’intro di pianoforte della riuscita versione de La casa in riva al mare di Lucio Dalla e Place To Be del “disperato” Nick Drake.
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