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Il suono atipico del jazz.
Roma, Casa del Jazz – 6.10.2010/10.11.2010
«In realtà, tutto è partito da una riunione che ho organizzato una sera qui a casa mia, perché ho sempre avuto il pallino di far capire alla gente che il jazz non è quella musica astrusa che si crede, ma che se la si conosce almeno un po’ la si può apprezzare e ci si può appassionare. Ho chiamato una decina di amici e ho propinato loro un’ora e mezza di ascolti sul rapporto tra jazz e musica classica. Questi amici furono molto entusiasti e tra loro, in particolare, una persona che allora aveva un ruolo di responsabilità presso il comune di Gioia Tauro e mi propose di ripetere la stessa esperienza in forma ufficiale: lei organizzò questa serata nel gennaio del 2006 e fu un’esperienza magnifica, vennero duecentocinquanta persone in una sala comunale e mi ascoltarono per un’ora e mezza, come era stato a casa, con ascolti e racconti. Ho constatato che la cosa poteva funzionare e quindi l’ho proposta alla Casa del Jazz e ho trovato in Luciano Linzi una persona particolarmente sensibile a questo tipo di novità.»
Si è concluso il 10 novembre scorso Il sound atipico del jazz, ciclo di incontri condotti da Gerlando Gatto e dedicati agli incontri del jazz con strumenti, linguaggi e possibilità sonore ed espressive meno battute. Il ciclo autunnale ha seguito gli altri presentati da Gatto in precedenza: il jazz e la musica classica – che ha dato l’avvio all’esperienza – e, negli anni, gli incontri con il tango, con la canzone italiana, con i brani dei Beatles, con la musica caraibica, con il jazz del nord Europa. «La cosa andò subito benissimo, tanto da organizzare diversi cicli da allora: ho sempre cercato un filo rosso che da un canto trattasse aspetti marginali di questa musica che non tutti amano affrontare con consuetudine, dall’altro potesse incuriosire il pubblico.»
La ricerca di un punto d’appoggio per chi non è abituato al linguaggio del jazz ma è vicino ad altre sonorità e si lascia incuriosire. Una formula accattivante, dalla cifra molto radiofonica nella gestione degli spazi e dei tempi, propedeutica più che didattica. «Sono partito dalla mia ultraventennale esperienza in radio. In pratica sono state delle trasmissioni realizzate dal vivo. Non si è trattato di vere e proprie guide all’ascolto: in realtà sono stati degli happening, in cui ho cercato di stimolare e dare degli input. Poi ciascuno una volta tornato a casa, poteva andare ad approfondire questi spunti in maniera diversa. E molti mi hanno detto di aver scoperto musicisti, comprato dischi, ascoltato concerti dopo essere stati agli incontri e per me questa è stata un’enorme soddisfazione. Tra l’altro io ho sempre cercato di usare un linguaggio diretto, non accademico e ho imposto a tutti i miei ospiti e interlocutori di muoversi nella stessa direzione.»
Nel ciclo di incontri autunnali, Gatto si è focalizzato sui suoni atipici del jazz e, lo dico con imbarazzato e malcelato orgoglio, si è mosso a partire dalla lettura de Le rotte della musica, motivo per cui sono stato ospite della puntata di apertura. «La lettura del tuo libro mi ha dato la consapevolezza che c’è un sacco di musica – in molti casi, anche parente prossima del jazz – che non si conosce e che invece vale la pena di avvicinare. Da questo sono partito alla ricerca di strumenti atipici, come l’arpa, e ne è venuto fuori un ciclo di successo tant’è vero che, sulla stessa linea dei precedenti cicli, ho avuto per tutte le serate una media di 85 persone. Potrà sembrare un dato inconsistente, ma se si considera che gli incontri si sono tenuti di mercoledì pomeriggio, in una città trafficata come Roma, vedere una sala piena di gente che si organizza e si muove da casa per essere lì alle sette e sentire uno che parla e fa sentire musica. Il massimo lo abbiamo toccato durante il ciclo sul tango, quando abbiamo dovuto rimandare indietro le persone per la grande affluenza agli incontri.»
Se il jazz oggi si è confrontato con quasi tutti i generi e ha conquistato tanti altri spazi, diventa difficile definire le “stranezze” e le cose inaspettate. I diversi incontri hanno avuto come protagonisti l’arpa con Marcella Carboni, l’Africa con Luigi Onori, l’elettronica con Riccardo Fassi, il violoncello con Paolo Damiani e, in chiusura, il flauto con Stefano Benini e Daniele Pozzovio. «Nonostante il jazz si sia allargato così tanto, ho cercato di proporre i suoni che fossero ancora più atipici. E, in effetti, se considero i brani che abbiamo fatto sentire assieme nella prima puntata, ho avuto il riscontro da parte di molti presenti che non avevano mai ascoltato nulla del genere. Quindi era veramente atipico nell’ambito delle atipicità che il jazz ha comunque raggiunto. Le reazioni del pubblico di fronte ai diversi argomenti hanno seguito l’andamento del primo incontro, con le persone sorprese e soddisfatte. «Ogni volta con una specifica atipicità. Per esempio l’arpa nel jazz, tutti quelli che sono venuti mi hanno candidamente confessato che non avrebbero mai immaginato come l’arpa potesse essere piegata ad esigenze espressive di tipo jazzistico.»
Nel percorso dei vari cicli, Gerlando Gatto ha potuto contare sull’apporto e sulla presenza di musicisti e ospiti ad arricchire il filo narrativo e a richiamare ulteriormente il rapporto con la radio. «C’è una cosa che tengo a sottolineare: ho avuto il piacere di constatare che tanti anni di semina hanno dato i loro frutti. Mi sono sempre ritenuto un amico dei musicisti, nel senso che come critico, prima di stroncare un disco, siccome so quanto sia difficile fare musica e quanto sacrificio costi, uso le parole con molta attenzione. Questa amicizia mi è tornata indietro in quanto chiunque abbia chiamato è venuto sempre ed esclusivamente a titolo gratuito. E non sono venuti solo musicisti romani, ma anche da fuori e da regioni lontane, tanto è vero che spesso ho ospitato qui in casa mia i musicisti invitati per i vari cicli. Questa volta ho avuto Paolo Damiani e Riccardo Fassi che vivono a Roma, ma Marcella Carboni è venuta da La Spezia, Stefano Benini è di Verona. Negli appuntamenti in cui sono stati presenti i musicisti, io ho sempre riservato loro lo spazio perché suonassero almeno quattro o cinque brani, un mini-concerto nell’ambito dell’ora e mezza di durata degli appuntamenti.»
L’evoluzione del percorso tracciato da Gatto però si lega alle vicende della Casa del Jazz di Roma. Il disegno del prossimo ciclo sarebbe già pronto, ma Gatto è piuttosto scettico sugli sviluppi della situazione. «Credo, come purtroppo ho già detto al pubblico alla fine di questo appuntamento sui suoni atipici, che questo con molta probabilità sarà l’ultimo ciclo che si farà alla Casa del Jazz. La situazione sta cambiando, si delinea un avvicendamento alla direzione della struttura e tutto lascia prevedere che iniziative come questa non verranno riproposte. Certamente questo non è l’unico posto e, in me, la voglia di proseguire in questo percorso resta fortissima, perché, come ho detto altre volte, sono tanti anni che mi occupo di musica e ho presentato festival di fronte a platee gremite ma il piacere e l’emozione che mi hanno dato questi cicli sono stati una vera novità per me. Io mi sono trovato davvero bene, un’atmosfera molto rilassata, calda e con molta attenzione. Gran parte delle persone sono tornate sempre e ci sono stati alcuni che mi hanno seguito sin dalla prima puntata: si è fidelizzato un pubblico, come una sorta di club, con un suo appuntamento fisso.»