Slideshow. Saba Anglana

Foto: da internet










Slideshow. Saba Anglana.


Jazz Convention: Saba, vuoi parlarci anzitutto del tuo disco uscito da pochi mesi?


Saba Anglana: Un viaggio in musica che ha soprattutto l’acqua come metafora universale di vita e amore al suo centro. Per restare in metafora idrica, è paragonabile ad un fiume che attraversa diversi territori, si nutre di tradizione e di modernità, di lingue diverse, di strumenti antichissimi e di viva contemporaneità, nei contenuti e negli arrangiamenti. Non si offre come prodotto di nicchia, sarebbe innaturale imprigionare il libero fluire di un fiume.



JC: Subito un’altra domanda che ti avranno fatto già tutti: sei metà etiope metà italiana; come convivono queste due anime?


SA: Non sono due anime. Sono la stessa, solo più ricca. Le divisioni e le linee di demarcazione in questo caso sono negli occhi di chi guarda. Sono quello che decido di essere, spesso divertendomi con i miei ingredienti come manipolando un equalizzatore cromatico: alle volte più chiara, alle volte più scura. Un grande esercizio di libertà, un affrancamento dall’ossessione identitaria, anche in chiave ludica, anche in chiave creativa.



JC: In Italia oggi c’è più razzismo di prima? Da artista in fondo privilegiata, cosa provi quando vedi i cosiddetti ‘vu cumprà’ o i cori allo stadio o a sentir parlare di ‘negri’ nel modo che purtroppo conosciamo (anche da certi partiti)?


SA: Mah, lo stesso fatto che mi vengano poste domande di questo tipo è di per sé una cartina di tornasole di una situazione ancora stagnante. Mi chiedo se gli stessi quesiti retorici vengano posti ad artiste completamente “italiane”, per esempio. Iniziamo da noi stessi a cambiare il linguaggio, le terminologie, le curiosità, le domande, il modo di relazionarci con chi ha origini non omologabili.



JC: Facciamo un salto indietro: ci racconti il primo ricordo che hai della musica?


SA: Il suono ipnotico delle voci di una scuola coranica accanto casa, a Mogadiscio. Una specie di potenti cantilene. Molto piccola, ne ero affascinata ed impaurita. Mi piacciono molto le reiterazioni, le ripetizioni di pattern, sia nella musica che nelle arti visive.



JC: E quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare cantante, musicista?


SA: Ho individuato un potente medium per indirizzare una forte energia interiore: perché non implodesse, aveva bisogno di canali comunicativi. La musica, sia da fruitrice che da creatrice, mi ha da sempre garantito questo magico canale di scorrimento emotivo.



JC: Chi sono i tuoi maestri, i tuoi punti di riferimento nella storia della musica?


SA: Non ho avuto maestri, ma forti innamoramenti artistici. Da Jimmy Cliff a Erykah Badu, da Sam Cooke a George Michael. Ebbene sì.



JC: Ci sveli quale può essere per te, finora, il momento più bello della tua carriera di musicista?


SA: Ogni volta che davanti al mixer ascolto un pezzo che mi emoziona al punto di ascoltarlo entusiasta cinque volte di seguito. Ogni volta che in un live si crea quel circuito emozionale tra me e il pubblico. Un dare-avere che regala un ulteriore senso profondo a questa professione.



JC: Tra i due dischi che hai registrato che differenze esistono?


SA: Sarebbe interessante saperlo da chi mi segue dai tempi di “Jidka”, il primo lavoro. Io racconto storie, e spingo la mia curiosità musicale ad incontrare strumenti e stili diversi, coerentemente rispetto al mio vissuto e alla scoperta delle mie origini. In tutto questo vive un’evoluzione, lo sento: guai se non fosse così. “Biyo” si nutre anche dell’esperienza di un viaggio fisico e spirituale nella terra dei miei nonni, un’Ethiopia intensa, che non può lasciare indifferenti. “Biyo” è ora il mio figlio prediletto, così come ogni ultimo lavoro.



JC: Come definiresti il jazz?


SA: Nessuna definizione, please. Nessuna scatola che “contenga”, che “limiti”. Beh, a pensarci bene… anche questa è una definizione!



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ al jazz o ai suoni o alle sette note?


SA: L’idea della preghiera. Non sono credente, non aderisco a nessuna religione, ma sento che la musica più di ogni altra forma espressiva crei un ponte diretto con la spiritualità.



JC: Come vedi, in generale, il presente della musica in Italia?


SA: Un presente con futuro incerto. Per mille ragioni purtroppo.



JC: Conosci personalmente i grandi jazzisti africani? sai come si vive la musica oggi in Africa?


SA: Ho conosciuto alcune leggende viventi come il grande Mulatu Astatke. L’ho incontrato qui in Italia, ma ancora prima in Ethiopia. Ecco: ad Addis Ababa, per esempio, il modo di vivere la musica non è passivo, non è mai considerata un accessorio come spesso accade qui in Italia, dove distrattamente subiamo in continuazione la presenza invadente di essa ormai ovunque. Lì la musica è sempre vissuta come scelta consapevole, non come sottofondo ossessivo.



JC: Quali sono i tuoi progetti musicali per il presente e il futuro?


SA: Nuove canzoni naturalmente! Continuare a generare materiale vivo e pulsante, tra un tour e l’altro.