Foto: Maria X
Prosegue con l’intervista a Abe Rábade, la pubblicazione di alcune delle interviste che hanno costituito il materiale di partenza de Le rotte della musica, libro realizzato da Fabio Ciminiera e pubblicato da Ianieri Edizioni. Il volume è un racconto corale, animato da musicisti, organizzatori, fotografi ed altri protagonisti: personaggi anche distanti tra loro per sonorità e intenzioni, ma uniti dalla ricerca di sintesi originali. Un affresco attuale e, soprattutto, aperto a tante prospettive diverse del panorama musicale dell’area mediterranea. Le rotte della musica è anche su myspace: www.myspace.com/lerottedellamusica
Fabio Ciminiera. Cominciamo con Open Doors. Prima di tutto, puoi dirci qualcosa riguardo la tua collaborazione con Deli Sanchez? Credo che questo sia stato un aspetto molto importante nell’intero progetto…
Abe Rabade. Ho incontrato Deli Sánchez al Dado Dadá Jazz Club a Santiago de Compostela, la mia città. Questo club propone diverse attività: dalla sua storica jam session, attiva ormai da nove anni, alle esposizioni di quadri, molte delle quali legate al jazz. Mi è piaciuta moltissimo una mostra di Deli al Dado, il suo lavoro espressionistico sulle immagini di maestri come Coltrane, Miles Davis, Wes Montgomery… Così, abbiamo cominciato a parlare della possibilità di illustrare Open Doors. Ha realizzato un lavoro fantastico per la copertina, sette ritratti di noi musicisti e versioni libere in acquarello delle otto composizioni del disco. In quest’ottica abbiamo lavorato insieme, a stretto contatto, sin dall’inizio: Deli è stato presente alla registrazione in studio ed ha avuto la primissima versione dell’album, ancor prima del missaggio, per lavorare nel suo studio. Nei concerti dal vivo del settetto, Deli dipinge delle tele mentre suoniamo e questo porta alla performance un aspetto visuale che viene molto apprezzato dal pubblico. Devo dire che sono molto interessato alle relazioni del jazz con altre forme d’arte come la fotografia, la poesia, la pittura… chissà cosa realizzerò in futuro su questa strada…
FC. In Open doors c’è una forte concezione orchestrale, sia nella musica che nella struttura unitaria del lavoro.
AR. Il mio approccio è stato quello di concepire Open Doors come una suite, in pratica. Nel senso che ho voluto legare ogni brano con brevi interludi, Ho deciso che questi raccordi fossero realizzati con dei brevi spot in solo in modo da dare un colore inusuale al disco, con le otto schegge suonate da un solo musicista. Al disopra di questo, ho voluto disporre una grande varietà di strutture che vanno dall’assolo senza accompagnamento all’ensemble con il settetto al completo. Per far un esempio, mi piace moltissimo il duetto suonato da sax alto e sax tenore nel brano Iria con la sezione ritmica che entra in maniera diversificata. Perico Sambeat, all’alto, e Jesús Santandreu, al tenore, hanno dato il loro meglio in questo pezzo. L’arrangiamento combina l’approccio ampio, quasi da big band, e quello del piccolo gruppo jazz. Il fatto che il disco non abbia interruzioni, che costituisca un flusso continuo di musica, all’inizio mi rendeva insicuro: avevo paura che servisse qualche pausa. Quando ho visto il risultato finale, sono stato completamente soddisfatto, dal momento che i cambi di tempo, di strutture e di dinamiche portano ogni volta un respiro differente.
FC. Quali sono i colori che hai estratto da questa particolare line-up?
AR. Sono stato molto fortunato ad avere a disposizione questi sei musicisti dall’enorme talento. Questo è il motivo per cui ho potuto pianificare tutti gli arrangiamenti sin dall’inizio, sapendo esattamente chi avrebbe suonato le melodie e gli assolo. Ad esempio, Chris Kase – che suona tromba e flicorno nel disco – ha un suono e un modo di porre le frasi molto lirico e questo mi ha permesso di assegnarli alcuni passaggi che non avrebbero funzionato allo stesso modo se fossero stati affidati ad un altro musicista: avevo già lavorato con Chris in precedenza e mi piace veramente il suo suono. Lo stesso accade con la sezione dei sassofoni: Perico Sambeat, Jesus Santandreu e Alan Ferber. Ognuno di loro a un approccio personale all’improvvisazione e quando ho scritto la musica ho cercato di avere quanto più possibile presente questo fatto. Per un lavoro simile, con molti fiati, ho sempre preparato i brani prima con la sezione ritmica per avere la garanzia del controllo delle strutture e delle atmosfere quando poi avremmo aggiunto i fiati. Infine voglio ringraziare il contrabbassista Nelson Cascais e il batterista Bruno Pedroso che hanno reso possibile tutto questo con il loro apporto.
FC. Questo è il secondo lavoro che proponi a nome del GHU! Project. Qual’è stata l’evoluzione del gruppo tra i due dischi?
AR. Ho un buon ricordo del primo volume di GHU!, registrato nel 2002, ma la qualità del suono non era esattamente quella che volevo. Voglio sottolineare, con forza, che in Open Doors, secondo disco di GHU!, ho trovato il modo di avere il suono che cercavo. E per questo devo rendere grazie ai Boom Studios di Gaia in Portogallo, soprattutto João Bessa, Mário Barreiros e Ricardo Fonseca al missaggio e Alvaro Balañá alla masterizzazione dell’album. Per quanto riguarda strettamente gli aspetti musicali, Open Doors è una evoluzione naturale del primo disco, dal momento che mantiene una prevalenza di composizioni originali con una buona dose e una buona percentuale di improvvisazione e interazione. La differenza è nel tono: Open Doors è un po’ meno furioso e i quattro fiati mi hanno permesso di creare molti contrappunti.
FC. Parliamo del tuo lavoro in trio. Quali sono le tue principali influenze in questa direzione?
AR. Amo il trio! E’ come un triangolo magico nel quale l’essenza del jazz prende corpo senza ridondanze, ma semplicemente con le strutture e i ruoli di cui hai bisogno. Ammiro profondamente l’eredità del trio di Bill Evans che porta, a mio avviso, direttamente al trio di Keith Jarrett. Mi piace Herbie Hancock nei suoi trii – ma, d’altronde, lo ammiro in qualunque formazione. Sono un grande fan di Barry Harris – c’è un suo disco, Barry Harris in Spain, che raccomando sinceramente – e Kenny Barron – Wanton Spirit è uno dei dischi in trio che preferisco. Sono molti i trio moderni che amo – moderni per generazione, non necessariamente per stile: il Fred Hersh Trio, il Brad Melhdau Trio o il Robert Glasper Trio. Mi piace molto anche il trio con la chitarra e soprattutto alcuni lavori di Pat Metheny, come Bright Size Life, Question and Answer o 99/00. Nel 1996 ho dato vita al mio primo trio, con Paco Charín al contrabbasso e il batterista bulgaro Val Tzenkov. E’ stata una grande esperienza, perché eravamo tutti a Boston per studiare e potevamo sperimentare con costanza le cose che stavamo imparando. Grazie agli studi presenti a Berklee, abbiamo registrato molto materiale. Quando sono tornato in Galizia, in Spagna, Paco Charlín è rimasto nel trio e abbiamo registrato molti dischi con il batterista Ramón Ángel: Babel de Sons, il mio primo album, Simetrías e il primo volume di GHU! Nel 2004 il batterista portoghese Bruno Pedroso si è unito a me e a Paco Charlín e abbiamo registrato Playing on Light. Il mio prossimo disco in trio sarà registrato a settembre con Bruno Pedroso alla batteria e il contrabbassista Pablo Martín Caminero.
FC. In questi giorni ai registrato il progetto Rosalía 21. Come si articola questo progetto?
AR. Rosalía 21 è un progetto centrato sulle poesia e in particolare sulle opere della nostra poetessa nazionale Rosalía de Castro… con nazionale intendo galiziana, dal momento che la Spagna ha molte nazioni al suo interno. E’ stato presentato alla Feria del Libro de La Habana, a Cuba, nel febbraio del 2008. Il progetto è coordinato dallo scrittore galiziano Anxo Angueira. Poter lavorare con delle poesie di altissima qualità e poter comporre un contesto musicale a queste poesie è stata un’esperienza davvero unica. In questo progetto ho voluto avere l’apporto di Jesús Santandreu, al sax tenore, Nelson Cascais, al contrabbasso, e Bruno Pedroso, alla batteria, oltre alla cantante galiziana Guadi Galego. Anxo Angueira appare come voce recitante in alcuni brani. Il disco si intitolerà Rosalía 21 e sarà pubblicato dalla Falcatruada. Avremo presto una presentazione a Santiago, quest’anno, e sono molto entusiasta di questo.
FC. Di nuovo una relazione con altre espressioni artistiche, in questo caso la poesia. Aprire la tua musica ad altre forme d’arte sembra essere un filo rosso che attraversa tutta la tua attività…
AR. Vengo da una famiglia di scrittori, i miei genitori e mia sorella sono scrittori e poeti. Questo fatto mi ha permesso, sin da quando ero bambino, di essere in contatto costante con una visione del mondo molto particolare: sono molto grato ai miei genitori per avermi fatto crescere con un approccio più umanistico e meno legato a un modo di vedere materialistico. Tutte le forme d’arte sono collegate, in un certo senso, dal momento che rappresentano tutte un modo simbolico di guardare alla realtà. Amo esplorare le connessioni tra le espressioni artistiche e cerco poi di portare questo nei miei dischi – l’incontro tra musica e fotografia in Playing on Light, quello tra musica e pittura in Open Doors.
FC. In febbraio hai registrato in piano solo. E’ il primo disco in solo per te? e quali sono i brani e le idee che saranno presenti nel lavoro?
AR. Parte del materiale che sarà sul disco è stato già pubblicato come colonna sonora di uno spettacolo sperimentale tra magia e musica chiamato Jazzia, Ma l’uscita “ufficiale” dell’album avverrà alla fine di quest’anno con il titolo di Abe Rábade Piano Solo e conterrà buona parte del materiale di Jazzia ma anche altre composizioni registrate in questa nuova sessione. Suonare senza sezione ritmica è un po’ come sentirsi nudi, ma è una sfida che ho davvero molta voglia di affrontare. Ho un meraviglioso rapporto con la mia etichetta discografica, la Nuba/Karonte Records e il suo manager Fernando Rosado. Per me è molto importante poter realizzare progetti come Open Doors con loro, ma anche produzioni speciali come il disco in Piano Solo o il DVD del concerto di Open Doors a Santiago de Compostela.
FC. Puoi delineare un panorama delle attività del jazz in Spagna? Festival, musicisti, club, personalità…
AR. Mi piace mettere in evidenza alcuni festival che hanno nella loro filosofia un forte supporto per i musicisti locali, cosa difficile da trovare in Europa, come il Festival de Pontevedra, il Festival de Cangas, le Jornadas UNED de Melilla, il Festival de Jazz de Ibiza. A mio avviso, la Spagna vive un momento meraviglioso per quanto riguarda i jazzisti di talento. In Galizia, ad esempio, abbiamo maestri come Paco Charlín, Ramón Ángel e Santi Quintáns e c’è una generazione di giovani musicisti come Virxilio da Silva, Xan Campos, Xavier “GDJazz” Pereiro, Pablo Castaño, Max Gómez o Iago Fernández. Ci sono grandi club come il Dado Dadá a Santiago de Compostela (con una longeva jam session ogni martedi sera), il Bogui Jazz a Madrid (anche se sta vivendo un momento difficile a causa di alcune pesanti e inopportune pressioni da parte del governo locale). Per parlare delle grandi personalità, ogni musicista di jazz in Spagna è in debito con uno dei più grandi supporter della musica jazz con Juán Claudio Cifuentes e con il suo programma sulla radio nazionale. Altri grandi critici sono Pablo Sanz e Sebastián Íñigo. Voglio anche nominare due grandi organizzatori come Luís Carballo, nell’area galiziana, e Francisco Latino, nell’area di Valencia.