Slideshow. Francesco Cafiso

Foto: Fabio Ciminiera










Slideshow. Francesco Cafiso.


Jazz Convention: Francesco, che effetto fa a non essere più il bambino prodigio, ma ormai un giovane navigato jazzista?


Francesco Cafiso: Sinceramente non mi sono mai posto questo problema. L’unico mio interesse è stato nel passato, come lo è ora nel presente, quello di studiare, migliorare, crescere musicalmente e umanamente. Il fatto di essere stato etichettato come “bambino prodigio” non ha mai influenzato la mia vita di musicista, l’ho considerato un dettaglio di poca importanza. Si può essere geni ma se manca lo studio e l’impegno quotidiano, non si va da nessuna parte, ci si ferma e non si migliora. Oggi, a vent’uno anni, mi accorgo che questo mio modo di pensare mi ha dato ragione e che la mia tenacia e il mio impegno mi hanno fatto superare i tanti ostacoli che il marchio del “baby fenomeno” mi ha procurato durante il mio percorso artistico.



JC: Mi racconti il primo ricordo che hai della musica?


FC: Non ho un ricordo ben definito. Ho sempre ascoltato tanta musica. Mia sorella suonava e io nel pancione di mia madre probabilmente assorbivo le note che uscivano dal suo pianoforte. A casa mia in un modo o nell’altro la musica non è mai mancata. La cosa curiosa piuttosto è che non si suonava musica jazz.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una musicista jazz?


FC: Quando a sette anni mio padre ha cercato per me un maestro di sassofono, il “Padreterno” ha permesso di incontrare Carlo Cattano, che oltre ad essere un ottimo didatta è un eccellente jazzista. Carlo ha intuito le mie capacità e immediatamente mi ha introdotto nello studio del jazz.



JC: E perché scegliesti proprio il sassofono?


FC: Dalle nostre parti c’è un esubero di pianisti e chitarristi. Non abbiamo a Vittoria una tradizione riguardante gli strumenti a fiato. Forse il fatto che quando sono nato mi hanno regalato uno spillino a forma di sassofono ha sicuramente influenzato i miei genitori a scegliere il sax contralto come strumento adatto a me.



JC: Chi sono i tuoi maestri nel jazz? E tra i sassofonisti?


FC: Inevitabilmente, quando si intraprende lo studio del sassofono, qualsiasi bravo maestro ti fa studiare Chalie Parker. Ho “divorato” il suo Omnibook. Naturalmente ho ascoltato molto “Bird” anche sui dischi. Per quanto riguarda il suono molto mi ha aiutato Phil Woods. Per alcuni problemi di impostazione sono stato a New Orleans dove ho ricevuto delle particolari lezioni da Alvin Batiste, grande maestro musicista morto qualche mese fa. Comunque Monk, Davis, Coltrane, Coleman, Dolphy sicuramente mi hanno aiutato a crescere musicalmente. Tra i sassofonisti attualmente mi affascina molto Lee Konitz.



JC: Quale resta per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


FC: Ho molti momenti belli che ricordo con piacere. Potrei scrivere un libro. Credo però che aver avuto l’onore di suonare con Hank Jones, Dave Brubeck, Ronnie Matthews, Jimmy Cobb, Ben Riley è una soddisfazione che non ha prezzo. L’anno scorso prima di un mio concerto a Umbria Jazz sono stato nominato “ambasciatore della musica jazz italiana nel mondo” e di questo sono lusingato e grato alla Fondazione Umbria jazz. Anche suonare a Washington DC durante i festeggiamenti in onore del Presidente Barack Obama mi ha molto emozionato.



JC: Tra i molti dischi che hai registrato, quale ami di più e perché?


FC: Amo tutti i dischi che ho registrato perché sono uno spaccato del mio percorso artistico musicale e non ne rinnego nessuno. Quello da cui ho cominciato ad avere qualche soddisfazione a livello stilistico, compositivo e di suono, senza dubbio è A New Trip con “Island Blue” Quartet. Amo, invece, con passione, Travel Dialogues e 4out i miei due ultimi Cds perché in questi emerge molto la mia personalità, il mio stile e credo vi sia molta originalità.



JC: Come definiresti il jazz?


FC: Il Jazz è un modo di concepire la vita e apprezzare ciò che la vita offre. Jazz per me è vivere emozionandomi ed emozionare, rischiando anche di non piacere. Jazz è evitare di omologarsi alla massa, remando controcorrente, evitando con tutte le proprie forze di farsi fagocitare dal comune modo di fare. So che è difficile questo concetto. Ma è quello che io sento.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


FC: La gente si lamenta dei tempi in cui vive e dei problemi che ha da risolvere e non si accorge di questo potere seduttivo e sedativo della musica e del jazz in particolare. Non si accorge quanto sia terapeutico immediatamente un concerto o l’ascolto di un CD sulla propria persona. In tempi in cui la televisione fa da padrona dominando e somministrando volgarità e spettacoli di discutibile utilità, è straordinario farsi coinvolgere dalla magia guaritrice che possiede il jazz in questi anni dove non esiste uomo o donna che non siano sopraffatti dallo stress della vita corrente. La gente non si accorge (e questa dovrebbe essere la missione dei media) che la musica e il jazz in particolare, è comunicazione di sentimenti profondi, intensi, che appaga tutte le tendenze emotive, fa crescere entusiasmo per la vita, fa diventare effervescenti, poi pacati e felici dà una soddisfazione personale e collettiva e aiuta ad interagire con gli altri.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


FC: Certamente! Jazz è improvvisazione ed esternazione di ciò che si possiede dentro. È comunicazione di sentimenti. È racconto di storie interpretate o re-interpretate in maniera personale da ogni musicista sempre in in modo comprensibile ed emozionante. Per quanto mi riguarda questo è il mio impegno quotidiano: fare della musica un veicolo di gioia. Mi piace che dopo ogni mio concerto la gente ritorni a casa più contenta.



JC: Ma istintivamente, cos’è allora per te il jazz?


FC: Il jazz è quella musica che arriva al cuore della gente comune, che fa crescere i gusti musicali del pubblico di pari passo con le nuove conquiste della musica. Il Jazz è ciò che ogni forma d’arte possiede in maniera dominante: la creatività. Essa è a disposizione dei singoli o della collettività, basta accoglierla e farla propria.



JC: E come vedi, in generale, il presente della musica jazz in Italia?


FC: La musica è uno dei regali più belli che Dio ha fatto all’uomo. Se fatta bene, con onestà, con la giusta intenzione, con impegno, gratifica se stessi e chi la ascolta. In Italia attualmente ci sono molti bravi musicisti che fanno cose egregie, che tengono alto il jazz Italiano e che ci rappresentano dignitosamente anche all’estero. Certamente entriamo nel campo dei “gusti musicali” e non è mia intenzione giudicare nessuno.



JC: Cosa stai facendo ora a livello musicale? I tuoi prossimi impegni?


FC: Attualmente sto pensando al repertorio per il mio prossimo disco con l’Island Blue Quartet. Ho in mente anche un progetto in Trio “Pianoless”. La cosa più difficile è la scelta del Bassista e del Batterista: ho però tempo per riflettere. È un periodo abbastanza calmo, in ottobre andrò col 4out in Cina, a Shangai, all’Expò 2010 per una serie di concerti e a Dicembre un’altra bella esperienza come solista con l’Haifa Big Band in Israele. Nel frattempo ho diversi concerti in Italia.