Via Veneto Jazz – VVJ 014 – 2010
Alessandro Galati: pianoforte
Bob Sheppard: sax soprano, sax tenore, clarinetto
John Patitucci: basso elettrico, basso acustico
Peter Erskine: batteria
Qualunque sentimento (o riserva) possa esser nutrito nei confronti della cosiddetta fusion (attualmente oggetto di un forte revival ad opera dei suoi protagonisti storici) certo è che nei ’70 e ’80, i decenni della sua esplosione, data la configurazione del mercato dell’epoca questo ibrido stilistico rappresentò per il jazz una camera di sdoganamento ed espansione, altrettanto non saremmo certi di affermare circa le sue valenze evolutive: ciò che maggiormente si potrebbe imputare a quest’àmbito è di aver privilegiato del suono afro-americano il volto positivista ed esteriore, nascondendone in buona sostanza i drammi e i contrasti delle difficili e complesse origini a tutto favore della spettacolarità e della fruizione. Non si vogliono comunque svalutare i suoi maggiori esponenti (superfluo ricordare come alcuni di essi avessero transitato nelle torride session del capostipite Mr. Davis) e, prescindendo dal valore di alcune loro scelte di percorso ancora meno si potrà sminuire la misura del loro mestiere (e, in molti casi, della loro tenacia).
A diretta testimonianza del filone e delle sue forme, avvalorano il cast della presente registrazione le navigate figure del batterista Peter Erskine e del bassista John Patitucci, il primo tra gli uomini-chiave del lungo corso Weather Report, l’altro pars ritmica, fra gli altri, di Corea prima e di Shorter tutt’oggi. Il polivalente Bob Sheppard, fiatista anch’egli ampiamente attivo nel genere, non ha mancato anche frequentazioni pop (Joni Mitchell, Steely Dan) laddove nemmeno il titolare “a latere”, il pianista fiorentino Alesandro Galati, ha lesinato nel misurarsi con partner di varia caratura, dalla scena scandinava ai maestri del free, praticando nostrane figure di punta come Fresu o Rava.
Chi vorrà, starà a seguire le “mirabilia” annunciate nel corso del neonato anno dai vari Stanley Clarke, Lenny White, Five Peace, Return to forever trio e via dicendo, mentre qui sul piatto gira una proposta Via Veneto Jazz che di fatto si snoda lungo una tracklist pienamente calata entro il filone in oggetto. Introdotto dalla suggestiva cantilena dai sentori di frontiera, efficacemente tratteggiata dal clarino di Sheppard e dalla sculture dei tasti di Galati, l’album ha poi nel suo complesso uno sviluppo che richiama e conferma i caratteri fusion nei suoi elementi più ortodossi, spesso trascinante ma che rinuncia all’invenzione formale. Il tutto vibra del molto caratterizzato, incisivo drumming di Erskine (che nei momenti più dinamizzati punta su tessiture alte e si permea di secca fibra haynesiana) e delle pulsazione fitta di Patitucci, mentre se la prestazione al clarinetto di Sheppard può conquistare per densità intimistica, la resa al tenore è certamente pregna della maggior scuola bop, liberando però nella foga degli assolo il grande tributo alla legacy breckeriana; dal suo canto Galati palesa un pianismo dalle trame nervose ma di grande lucidità fraseologica che si sposa con pertinenza e paritariamente alle performance degli sperimentati confratelli transoceanici. Essendo quest’ultimo un assunto peraltro superfluo da ribadire, qui Galati, che può porsi sul podio in eguale posizione ai vari Battaglia, Venier, Pozza e quant’altri emergendo, si fa convinto alfiere di fusion tipicamente intesa – qualsiasi sentimento la cosa possa suscitare.