Slideshow. Giuseppe Delre

Foto: Fabio Ciminiera










Slideshow. Giuseppe Delre.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico?


Giuseppe Delre: Giuseppe Delre Sings Cole Porter è un disco che nasce da una personale passione per questo songwriter che a mio avviso rispetto ai suoi colleghi ha una cifra stilistica più significativa dovuta anche al fatto che lo stesso Porter era sia autore della parte letteraria che musicale. È un progetto che mi ha visto particolarmente ispirato pertanto ho cercato di curarlo in ogni suo particolare avvalendomi anche di diversi musicisti di grande spessore artistico. Da quando mi sono dedicato al jazz non ricordo un concerto In cui non abbia inserito un brano porteriano. Quando poi ho deciso di registrare il primo disco da solista è stata immediata la voglia di iniziare con un songbook dedicato a lui ed al tema del desiderio, costante onnipresente nei suoi brani. A distanza di un anno mi ha dato diverse gratificazioni sia di critica che di pubblico regalandomi anche un riconoscimento come Best Coroner 2009, premio assegnatomi nell’ambito del festival Argojazz.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


GD: L’incontro con la musica è avvenuto nei primissimi anni di vita. A casa mia non è mai mancata e si ascoltava abitualmente B. Bacharach, L. Empthon, D. Ellingthon, F. Sinatra, Tony Bennet, G. Miller e tanti altri. La mattina spesso mi svegliavo con le musiche di questi grandi musicisti. In più mio padre comprava abitualmente dischi di musica classica. Ricordo che avevo una predilezione per Vivaldi, in particolar modo “Il Cardellino” per flauto e orchestra. I miei genitori capirono ed agevolarono subito tale mia inclinazione. A sei anni iniziai lo studio del flauto traverso.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?


GD: Io vengo da studi classici di canto lirico e musica vocale da camera ed ho avuto anche tante esperienze in quell’ambito. Ma sentivo che una parte di me non veniva fuori e tutto ciò non mi faceva vivere la musica in maniera serena e autentica. Contemporaneamente però seguivo i corsi di jazz da uditore e col tempo, questa musica e l’analisi dei songwriter più significativi, mi hanno portano sempre più ad allontanarsi dal mondo della lirica, in virtù di un mondo fatto di nuovi colori armonici ed espressivi, dove finalmente la mia natura musicale creativa ed interpretativa trovano il loro reale campo di esistenza. Il jazz è una musica che mi permette di poter esprimere pienamente quel sono; di poter dare un’impronta personale al materiale a cui mi approccio potendo anche improvvisare.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


GD: Lo ha se si ha la voglia di mettersi in gioco e non sottostare alle logiche di mercato e commerciali. Il concetto di autenticità deve essere sempre preservato. Ognuno deve sempre esprimere se stesso trovando la forza e il coraggio di portare avanti le proprie idee se ha qualcosa da dire. Certo non è facile anche perché il mercato è in crisi e spesso gli stessi produttori – ammesso che ne esistano ancora – ti spingono a creare qualcosa di più “fruibile”. In più oggi si fa passare per jazz molta roba che non centra nulla o che appartiene ad altri mondi. Dalla storia dei grandi musicisti abbiamo tanto da imparare ed è a loro che dobbiamo rifarci imparandone la lezione e cercando di guardare avanti.



JC: Ma cos’è per te il jazz?


GD: È essenzialmente un modo di “sentire” e allo stesso tempo la libertà di poter essere me stesso, un modus vivendi. Il jazz offre la possibilità di poter giocare con diversi colori potendo rielaborare il materiale sonoro secondo la propria sensibilità. Inoltre essendo, per larga parte, una musica totalmente suonata dai musicisti ha un sapore sempre fresco e nuovo. È come se tutto accadesse in quel momento per la prima volta. Anche lo stesso brano, con lo stesso arrangiamento può risultare diverso sera dopo sera, grazie anche al fattore legato all’improvvisazione e all’interplay che si crea fra i musicisti, altro fattore importantissimo.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


GD: Oltre a quel che ho detto in precedenza, mi piace poter attingere dal repertorio della popular music. Come anni fa si attingeva da compositori non di jazz come Porter, Gershinw e altri ancora, così oggi vi è una serie di brani a cui poter dare nuova linfa e diverse chiavi di lettura. Petrucciani docet. Il brano Estate di Bruno Martino oggi è considerato uno standard a tutti gli effetti grazie a lui che lo ha spesso eseguito nei suoni concerti dandone sempre nuove chiavi di lettura ed interpretazioni. Questa è la bellezza del jazz. Un brano diventa l’espediente per esplorare altro, esprimendo se stessi e il proprio mondo emotivo e musicale. Inoltre il jazz, con le sue implicazioni armoniche, ritmiche e timbriche, offre continui stimoli. Dal mio canto, oltre alla composizione di brani inediti, spesso mi dedico alla scrittura di testi su brani musicali strumentali. Oltre a poter dare una diversa interpretazione del brano mi sembra anche di poter dare una maggiore visibilità ad autori che spesso sono meno eseguiti o meno noti al grande pubblico. In questa maniera sempre più gente si avvicina ad un repertorio spesso meno conosciuto potendone apprezzare la bellezza.



JC: Come pensi che si evolverà il jazz del presente e il jazz del futuro?


GD: In verità non saprei dire dove sta andando il jazz. Vedo un grande utilizzo di elettronica non sempre con esiti positivi. Si va sempre più incontro alla contaminazione fra i generi cercando qualcosa di nuovo. Mi auguro però che i musicisti abbiano sempre il coraggio di rischiare ed esprimere quel che sentono, lasciando anche il certo per l’incerto. Mi piace molto il jazz che proviene dal nord Europa. Ottime produzioni e belle idee.



JC: Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


GD: Sicuramente l’ultimo dedicato a Cole Porter. Nato da una sincera passione per la sua musica è venuto fuori spontaneo e sincero nelle sue intenzioni musicali e vocali. Mi auguro che il pubblico questo lo abbia colto. Fra quelli fatti con altre formazioni mi piace ricordare Dharma Bums registrato con I Tàngheri e Marc Ribot. Con loro viene fuori un lato totalmente diverso rispetto ai miei lavori principali.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nel canto, nella musica, nella cultura, nella vita?


GD: Sono e continuo ad essere molto curioso Ho sempre ascoltato tanta musica cosa che per me è indispensabile per poter crescere come musicista. L’ascolto forse è l’80% di quel che fa di una persona un musicista. Fra i miei maestri ricordo con grande piacere ed affetto Cinzia Spata, Bob Stolof, ed alcuni avuti al Conservatorio con i quali conservo ancora un ottimo rapporto. In più ci sono sempre stati gli “idoli del periodo”, ovvero musicisti, scrittori e poeti che mi hanno alimentato nel corso degli anni di studio e che tutt’oggi continuo a seguire. Fra i musicisti Pat Metheny, Horace Silver, Carla Bley, Michel Petrucciani, Bill Evans, Richard Galliano e tanti altri. A livello vocale Mark Murphy, Chet Baker e, attualmente, Kurt Elling che ho avuto il piacere di conoscere di persona e che stimo enormemente.



JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


GD: Ogni momento ha la sua bellezza. Questo ad esempio è davvero pieno di novità e di progetti che si stanno evolvendo e prendendo corpo. La nomination come best jazz singer agli Italia Jazz Awards 2010 è stata una piacevole sorpresa. Essere arrivato in finale con quattro colleghi di quel calibro e che io stimo da tempo è già una grande soddisfazione. Poterlo vincere quasi un sogno. Sono alle prese con i nuovi due dischi da registrare ormai in dirittura di arrivo. Inoltre l’attività anche didattica mi sta dando belle gratificazioni. Vedere alcuni dei miei alunni solcare palchi importanti è davvero stupendo.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


GD: Uno degli aspetti più belli del jazz consta proprio nel fatto di poter collaborare con tanti musicisti. Non ho preferenze particolari. Mi piace collaborare con coloro che hanno voglia di condividere un progetto auspicando di poter star bene insieme a loro e non solo nella musica, ma anche fuori del contesto lavorativo.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


GD: Ho registrato a metà novembre in co-produzione con il fisarmonicista Vincenzo Abbracciante un progetto dedicato alla canzone d’autore italiana degli anni sessanta. Una rivisitazione molto personale di alcune gemme della nostra canzone d’autore quando davvero la musica italiana era alimentata da vere intenzioni artistiche e musicali. Il disco si intitolerà Different Moods. In più sto ultimando il materiale per registrare il mio secondo disco da solista che conterrà brani inediti e due rivisitazioni di brani già noti. È un disco sul tempo e il suo trascorrere. Vedrà una formazione più allargata con degli ospiti importanti. Mi auguro possa uscire per la prossima primavera.



JC: Parlaci dei tuoi impegni futuri.


GD: Sto continuando a fare concerti per promuovere il progetto su Porter e il progetto con vince Abbracciante. Lo abbiamo già presentato in alcuni festival come Bari In Jazz 2010 e al Festival Internazionale di Castelfidardo e per quest’inverno si prospetta una stagione concertistica intensa. Speriamo bene.