Il pianoforte e il giradischi

Foto: Alberto Lattanzi





Il pianoforte e il giradischi.

San Giovanni in Marignano, Teatro Massari. 29.1.2011.

Mike Melillo: pianoforte

Luigi Pasqualini: giradischi


Sinceramente, non saprei dire se l’esperienza proposta al Teatro Massari di San Giovanni in Marignano da Luigi Pasqualini e Mike Melillo abbia dei precedenti o delle situazioni in qualche modo paragonabili. Un musicista, Melillo con il suo pianoforte, come compagno di palco un giradischi che suona i brani di Bill Evans.


Per far comprendere quanto avvenuto sul palco, si potrebbe cominciare con il descrivere il giradischi. Un esemplare di altissima qualità, concepito come un vero e proprio strumento musicale: il braccio è un archetto di violino; il progetto complessivo è dedicato alla musica di Bill Evans, tanto da portare il nome del pianista; tutti i componenti sono scelti ed assemblati con cura certosina ed artigianale fino a portare lo strumento ben oltre i limiti dell’audiofilia “industriale”; il giradischi, infine, è accordabile in modo da variare il suono e la resa acustica a seconda delle preferenze dell’ascoltatore. Due numeri – il peso, 80 chilogrammi, e il prezzo, 35000 euro – bastano a dare in maniera istantanea la dimensione della “macchina”.


Dall’altra parte gli uomini. Bill Evans è stato il nume tutelare della serata: i brani sono stati tratti da una delle stagioni più felici della sua carriera, vale a dire il periodo degli anni ’60 del pianista di Plainfield. Explorations, Live at Montreux, Waltz for Debby, Everybody digs Bill Evans, il live in trio alla Shelly Manne’s Hole, Portrait in Jazz sono stati i dischi suonati, ma sul palco erano in qualche modo presenti anche New Jazz Conceptions, Kind of blue, i live al Village Vanguard. Lavori in cui con Evans, suonano Scott Lafaro, Paul Motian, Jack deJohnette, Eddie Gomez in una ridefinizione rigorosa, moderna e ineludibile del piano trio jazz. Luigi Pasqualini, costruttore del giradischi e fautore della serata, ha proposto una sfida a sé stesso e alla sua creazione, da una parte, e al pianista dall’altra: far suonare insieme dischi e musicista, far combaciare e convergere i diversi tipi di emozione e di approccio. Mike Melillo ha raccolto la sfida e si è calato bene nel ruolo designato: tutt’altro che facile confrontarsi con una musica già registrata e conosciuta, suonata, peraltro, da uno dei pianisti più importanti della storia del jazz; tutt’altro che scontata l’interazione tra le linee per le possibili distonie tra le note, per i tempi scenici e per le ispirazioni che di volta in volta si affacciano alla mente dell’esecutore mentre concorre con la musica registrata sul disco.


Pasqualini, entrando sul palco, ha subito messo in chiaro quale volesse essere l’intenzione della serata: un atto d’amore nei confronti del jazz e di Bill Evans, realizzato in maniera conviviale tra dischi, musicista e pubblico. “Pensate di essere a casa di amici ad ascoltare musica, buona musica e resa nella maniera migliore possibile… tanto bene che il pianista sembra di averlo lì con voi nella stanza.” In buona sostanza quest’idea si manifesta attraverso le parole dell’ospite che introduce non i brani ma le sensazioni trasmesse dai brani, non spiega cosa andremo ad ascoltare e con quali artifici tecnologici, ma lascia passare l’amore per il pianista e la sua musica. L’attitudine di Mike Melillo completa in maniera efficace il tutto: dal contrappunto alla voce di Evans all’accompagnamento degli assolo del contrabbasso, dalle coloriture agli interventi in piano solo. Melillo è riuscito a rompere la doppia barriera tra pubblico e pianista e tra pianista e giradischi con una prova caratterizzata da grande misura e confidenza, capace anche di svelare i propri studi su Evans, lo scavo profondo eseguito sulla sua musica, ma anche di fermarsi ed astenersi dal suonare nei momenti in cui l’accordatura tra pianoforte e giradischi è stata meno precisa e quando, in ogni caso, il rischio di ridondanza si è fatto più concreto.


La scaletta ha reso l’evento una vera e propria seduta d’ascolto, intrigante e affascinante. La qualità sonora dell’impianto è stata ulteriormente messa in luce dalla naturale cassa acustica del teatro e l’alternanza tra i vari momenti – pianoforte dal vivo, interazione tra pianoforte e dischi e ascolto – è stata guidata dall’abilità e dalla predisposizione jazzistica di Melillo: il disco ha innescato il dialogo tra note, sensazioni, linee ripreso e sviluppato dal pianista dal vivo. “Abbiamo fatto delle prove con Luigi e poi abbiamo deciso di lasciarci andare: d’altronde è jazz!” E, alla fine, lo spirito del jazzista, aperto all’improvvisazione, sempre attento a captare quanto avviene intorno a lui, sul palco e nel teatro, e rimandare la propria risposta attraverso lo strumento ha guidato Melillo e, in generale, lo svolgimento del concerto nel diventare un momento di ascolto musicale attento, senz’altro conviviale e rilassato, ma anche in grado di suscitare riflessioni sulla musica di Bill Evans e Mike Melillo.