Vinicius Cantuaria & Bill Frisell – Lagrimas mexicanas

Vinicius Cantuaria & Bill Frisell - Lagrimas mexicanas

Naïve – NJ 621011 – 2010




Vinicius Cantuaria: voce, percussioni, chitarra acustica

Bill Frisell: chitarra elettrica, chitarra acustica, loops







Formatosi (anche) nella fucina dei tonos humanos del grande Caetano Veloso, ma certamente aperto alle forme border-line, il cantore Cantuaria si è fatto spazio tra le voci espanse della sua terra, attivo individualmente da oltre un ventennio in una produzione gratificata dal contributo di nomi forti dell’innovazione, da Brian Eno e Sakamoto fino a Laurie Anderson e David Byrne.


Non meno forte di una produzione e soprattutto una presenza di consolidato carisma, il veterano Bill Frisell è un’intelligenza musicale attenta alle radici più autentiche e spesso meno scontate del Nord America, costruendo un’originale sintesi in cui jazz e soul hanno tributato grande attenzione all’importanza delle sintassi del country e delle quadrature del rock, evolvendo lungo un suo stile strumentale ricercato e d’effetto.


Personalità non antitetiche e certamente così vissute ponevano basi quanto meno solide per un avvenimento che, se di primo acchitto potrà non imporsi all’attenzione dell’ascoltatore di lungo corso (ma probabilmente non solo), in realtà grazie alla classe accessibile e all’esperita eleganza del duo ne rivela ben presto le coordinate e le definite ambizioni: scaldando l’atmosfera con il feeling denso di Calle 7, e duettando alla pari nell’evocativa La curva, il tonico duo fissa il suo cuore pulsante nei momenti di maggior calore e colore quali la deliziosa Cafezinho, A quela mulher e l’eponima Lagrimas mexicanas, non mancando momenti più impressionisti o di controllata astrazione che libera in Frisell la vibrazione spessa delle proprie note acquatiche e lunari, laddove Cantuaria si svela poeta spontaneo, ricco di memoria fresca e vitale, cui non manca quel lato di tipica melanconia brasileira, ma vivendo delle sue latitudini il dominante respiro di vita e colore.


Alquanto impreziosito da un’accurata ripresa sonora, facendolo via via più familiare e proprio, il piacevole e costruttivo album offre del concetto di canzone un’idea elaborata e riccamente semplice, ad un ascolto distratto criptata da un approccio “amateur” (sia pure al top di gamma) ma ben guardare s’impone una solarità temperata ma di tepori forti e mai velati che custodisce e devolve i valori del ricordo e lo spirito del viaggio.


Attivi proprio in questi giorni in un tour che ha rapidamente toccato anche le nostre piazze, triangolati anche dalla percussione di Maravaldo Dos Santos, i curiosamente assortiti dioscuri del Nuovo Continente s’incontrano in un’ora di libertà dagli stilemi del jazz e del canto latino in una musicalità d’incontro che assume una vita propria e – perché no – trascendente anche un po’ le due personalità coinvolte, sostenute dalla classe naturale e dal talento di robusta tessitura, tratteggiando in poche mosse ciò che a suo modo contiene le alchimie di un classico: album di colore mai gratuito e sostanza. E d’emozione.