Amiranirecords – AMRN 021 – 2010
Cristiano Calcagnile: batteria, percussioni, lamine metalliche, voce
Monica Demuru: voce, armonica, glockenspiel
Di concerto e in continuità con i fautori del suono liberato e girovago, certo non da fissare nell’epoca recente del free, del creativo o delle forme di rivolta, ma assai più a ritroso nell’arcaico sberleffo dei giullari o degli anti-accademici homeless, una nuova prova arricchisce l’ambito della musica creativa, a firma dello sfaccettato batterista Cristiano Calcagnile e della curiosa e ben investita vocalist Monica Demuru, che recano il portato non solo delle loro già consistenti tracce di scena quanto di un’inesausta corrente di suono energizzato, fecondatore ed inquieto.
Aperta e coinvolgente la fraseologia, estesi gli elementi in ballo, e a mantenere le fila del noto, problematico e dinamico filone la citazione regionale e politica (Interludio lombardo, Volere è potere etc.), foriera non tanto di segno folclorico o tattico, è qui piuttosto canovaccio vago e pulviscolare – ma le polveri s’infiammano molto rapidamente in un esplosivo cocktail di graffio e rappresentazione, ove i due incursori della scena aperta e teppisti della memoria fanno incontrare in una copula frenetica istinto e stile consapevole, generando appunto la Blastula, forma biologica primigenia e indifferenziata e comunque portatrice di Novità.
Conferendo ai volumi delle sua animata “vocalità trasversale” e recitante tratti da performer piuttosto completa, l’entusiasta Demuru appare appena più in primo piano (ma probabilmente per il più esposto elemento attoriale) nell’agitare l’azione in simbiosi col drum-acting di Calcagnile, che con vasta presenza mette in vibrazione e scuote membrane e metalli (doppiate da lamine e voce), marcando il passo e tenendo in fibrillazione la scena.
«La pochezza “voce e percussioni” è un bisogno di vuoto ma anche una personale rappresentazione del mondo e della musica. Anche nell’improvvisazione sonora, il disegno. Il tema che ci ha guidati è quello dell’Identità come stratificazione di vite e memorie. I testi e le composizioni sono come corpi da attraversare, svelare o tenere in ombra.» A sostegno di questi enunciati, a guisa di “scatola magica”, l’album si completa con un ulteriore medium grafico: non tanto distanti da quelle “carte da decifrare” di fossatiana memoria le cartine divinatorie sono ben calibrato punto di sintesi tra le lamine dei Tarocchi e le free-cards da pub (nessuno dei due elementi sembri peregrino) e fungono da condensato di conoscenze e ricerca e piacevole supporto e tracciante delle strategie ed urgenze espressive dei due.
Refrattaria alla disciplina, danzante sui margini pericolanti di un’avant-garde coraggiosa e proterva non tanto per la rete delle citazioni (in fondo non rivoluzionarie, in un’ottica teatrante) quanto nella spregiudicata esposizione senza pelle e senza filtri, in questa performance senz’altro da ritrovare si fissa istantaneamente la microfisica vibratoria del duo, che durante il corso della performance s’incarna più nella voce-strumento e nella percussione spiritata e animalesca che nei rispettivi attori – guitti illuminati che scrollano la polvere della strada e le ombre dell’accademia in una performance capace di coniugare responsabilità e freschezza.