Slideshow. Lomé

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Slideshow. Lomé.


Jazz Convention: Che effetto fa essere considerati jazzisti del mondo odierno?


Riccardo Ruggeri (voce): Innanzitutto bisognerebbe avere chiaro il significato della definizione “jazzista del mondo odierno”. Se con questa espressione si intende un modo di operare all’interno della popolar music distante dalle logiche del mercato commerciale e vicino a quel percorso di ricerca per metabolizzare delle esperienze del passato quali improvvisazione, canzone d’autore, jazz tradizionale, rock e contemporanea, allora i Lomé possono essere considerati dei neofiti della materia. Se qualcuno all’ascolto dei nostri lavori ci ha percepiti tali non possiamo che sentirci lusingati. Da parte nostra crediamo di essere all’inizio di un percorso e poco definibili, non perché le etichette non ci piacciano, ma perché ancora ad uno stato germinale della nostra scrittura e troppo piccoli per categorie così importanti.



JC: Ha ancora un significato oggi, per i Lomé, la parola jazz?


RR: Certo che sì. Il termine jazz ha preso oggi i significati più disparati, ed è su quel’ “un” della domanda che pesa la risposta. Viene usato per promuovere aperitivi, corsi di danza, compilation d’autogrill e così via. Un significato ce l’ha e continuerà ad avercelo sempre, quello di “non convenzionale”, una sorta di aggettivo d’uso comune, un po’ come era alla sua nascita, poi passato attraverso manuali e accademie.



JC: Cos’è per voi il jazz?


RR: Il mondo musicale, come gli altri, è purtroppo fatto di tanti gruppi elitari o presunti tali. Ognuno di questi ha una sua idea di jazz e la confusione è all’ordine del giorno ( e qui si potrebbe commentare citando il titolo del nostro disco “la ragione non ce l’ha nessuno”). Il termine Jazz, per come nasce e per la storia che si porta sulle spalle, indica qualcosa di mutevole ed in continua evoluzione. Come dicevo nella risposta precedente, per i Lomé il jazz è un modo di pensare e comporre libero da schemi commerciali; è quel fuoco innescato dalla scintilla della creatività che brucia in sé cumuli di vinile e di carta al quale si riscaldano le menti curiose ed esigenti.



JC: Come pensate che si evolverà il jazz del presente e il jazz del futuro?


RR: Quale jazz? possiamo parlare del nostro jazz. Si evolverà come ha sempre fatto, essendo un linguaggio, infiltrandosi, modificando e modificandosi con i mezzi di comunicazione, con i sistemi di trasmissione audio e dati del futuro. Non perderà mai il piacere del suono, anche di quello acustico, dell’armonia e dell’atonale, del sudore del palco e dello spartito, comunque sempre preso da quel gioco di tensioni tra la musica più antica del sistema solare e ciò che poco prima non esisteva. Pensiamo ad un plug-in da installare momentaneamente nel nostro cervello, il plugin Mingus o Svensson, per percepire la realtà e rielaborarla con la sua sensibilità, potrebbe essere il futuro?



JC: Tra i dischi che avete fatto ce ne è uno a cui siete particolarmente affezionati?


RR: Abbiamo sfornato due album fino ad ora, ed ogni lavoro è stato una sorpresa, motivo di entusiasmo e di frustrazione (non appena sentiamo qualcosa di nostro fissato in registrazione siamo assaliti al volo dalla voglia di scrivere qualcosa di nuovo e di riarrangiare il già suonato).



JC: E tra i due?


RR: Affetto molto, non lo nascondo, ma parlo per me. Diventa una protesi di me con segnati su segni indelebili del mio vissuto. Ogni disco ha la sua storia e ognuna si merita lo stesso affetto. “Fiori su marte” è la scoperta di tante cose, l’inizio di un percorso di quattro persone in arrivo da posti differenti. E’ lo spirito di una cantina umida arredata con materiale di recupero e tanta incoscienza. “la ragione non ce l’ha nessuno” è l’ingresso nel mondo reale, quello adulto che non fa sconti, la disillusione di diverse sale prova recuperate a basso costo. Insomma potrei parlarne per ore, meglio passare alla domanda successiva.



JC: Quali sono stati i vostri “maestri”?


RR: Fino ad oggi i maestri sono stati molti. Ci sono persone della realtà e altre alle quali mi sono avvicinato con la lettura dei loro libri e l’ascolto dei loro dischi. Alcuni nomi, Pasolini, Leo Ferré, Stefano Solani, Newton, la mia famiglia; poi potrebbe far ridere, ma grandi maestri sono stati i cani coi quali son cresciuto e ho passato molto tempo della mia infanzia; può sembrare assurdo ma credo che un bambino che passa molto tempo a contatto con un essere vivente di una specie diversa riesca ad apprendere ritmi, tempi, tensioni.



JC: Quali sono i musicisti con cui amate collaborare?


RR: Posso identificare una categoria: quelli umili, creativi, ironici, cinici e con la voglia di insegnare.



JC: I tre dischi di jazz (belli, amati, fondamentali) che vi portereste sull’isola deserta?


RR: Non so se mi porterei solo dischi jazz, comunque per il jazz diciamo Bitches Brew, di Miles Davis, Afro Blue Impressions di Coltrane e Crac degli Area.



JC: Prima di passare ad Andrea, quali sono gli stati d’animo che associ alla musica jazz?


RR: Consapevolezza e melanconia




Jazz Convention: Mi racconti il tuo primo ricordo che hai della musica?


Andrea Manzoni (pianoforte e tastiere): Credo proprio di essere sincero confessando che il primo ricordo sono io che ballo “sculettando” un brano di Bobby Solo.



JC: Quali sono i motivi che vi hanno spinti a fare anchejazz?


AM: La necessità di vivere nella e della musica, il comprenderne l’efficace linguaggio e la funzionalità per arrivare al maggior numero di persone. Facendo i conti con me stesso, se mi chiedo quale sia la cosa che mi rende veramente felice e che senza di essa non avrebbe senso l’esistenza, la mia per me, è la scrittura e l’esperienza musicale.



JC: Come definiresti il jazz?


AM: Il jazz può essere identificato come una “particella” in continuo movimento e mutevole nello spazio e nel tempo. Esiste una definizione di jazz nella misura in cui viene definito come Musica proveniente dal popolo e per il popolo. Di conseguenza una “definizione-non-definizione”. L’eliminazione di ciò che è stato nell’attesa di ciò che sarà. Improvvisazione senza una collocazione identificativa o scatologica ma come pura libertà di espressione. Caratterizzato dall’individuo e dalla sua storia non da un contesto o da uno stile.



JC: Quali sono le idee, i concetti o che associ i sentimenti appunto al jazz?


AM: Al primo posto l’improvvisazione come fonte di ispirazione e punto di partenza per un’ipotetica costruzione.



JC: Come vedete, in generale, il presente della musica jazz?


AM: Come vive la cultura in Italia? quale cultura? E’ una lenta agonia e la selezione naturale farà il suo corso.



JC: Cosa state facendo ora a livello musicale?


AM: Attualmente siamo impegnati in vari concerti in giro per la nostra Italia, ma non si escludono presto dei raid all’estero; stiamo giusto traducendo i testi in inglese per provare a suonare dove ci accetteranno fuori dal nostro Paese. Inoltre stiamo registrando una serie di concerti nel club milanese Le Scimmie, sperando di riuscire a mettere insieme un album live per marzo 2011. Per ultimo stiamo scrivendo molta musica, chissà dove andrà a finire; l’obiettivo è un nuovo album per fine 2011. Ogni componente dei Lomé è inoltre impegnato in vari progetti dal rock al jazz alla classica, insegnamento ed organizzazione eventi. Si dorme molto poco.



JC: E i progetti musicali per il futuro?


AM: Di idee ce ne sono ogni giorno e per realizzarle non basterebbe una vita intera. Essendo la curiosità il primo motore della nostra musica è difficile identificare a distanza delle mete. di più non saprei dire… musica pedagogica, musica ontologica, ornitologica, al di fuori della nostra logica, anti-antropologica. Ah um!