Storie di Jazz in custodia di sax

Foto: Fabio Ciminiera





Storie di Jazz in custodia di sax.

Pescara, Teatro Immediato. 9.4.2011.

Ilaria Cappelluti: voce recitante.

Carmine Ianieri: sax tenore, sax alto.

Marco Di Battista: pianoforte.

Giorgio Pelagatti: contrabbasso.

Paolo Pandolfi: batteria.


«L’idea di base non è stata quella di raccontare il jazz o, nello specifico, raccontare i personaggi che abbiamo scelto bensì far vedere come queste persone abbiano trovato, attraverso la musica, una maniera per esprimere il proprio mondo interiore. La scelta dei personaggi non è stata fatta su un periodo storico: è stata fatta in base alla poeticità del racconto e alle necessità dello spettacolo teatrale.» Storie di Jazz in custodia di sax nasce da un’idea del sassofonista Carmine Ianieri: riprendere in forma di spettacolo teatrale con musica dal vivo, alcuni brani dal libro di Geoff Dyer, Natura morta con custodia di sax.


Il presupposto del libro è molto particolare, portarlo su un palcoscenico diventa uno sguardo ulteriore al mondo e alle suggestioni del jazz. «Dyer ha creato le storie del libro a partire da alcune fotografie dei protagonisti del jazz.» Storie di fantasia, contestualizzate in modo preciso e persino iperrealista. «In un racconto su Lester Young, viene riportato il verbale del processo alla Corte Marziale, subito dal sassofonista.»


Le storie raccontate sono quelle – romantiche e avventurose, ironiche e drammatiche – di alcuni dei protagonisti del jazz: in ordine di apparizione, Chet Baker, Duke Ellington, Coleman Hawkins, Lester Young, Art Pepper e Thelonious Monk. Se Dyer sin dalla copertina e dal titolo sottolinea maggiormente gli aspetti maledetti del jazz, la narrazione scelta da Ianieri – senza nascondere i vizi, la droga, la galera, il razzismo, né mistificarne l’impatto dirompente nelle vicende degli uomini – porta l’accento sulla forza e sulla capacità di ciascuno di essi di esprimere attraverso la musica la propria profonda sensibilità. «Come dice Geoff Dyer, questo è forse il solo modo che hanno per sopravvivere. Io non voglio giustificare nessuno, ma mi preme contestualizzare nel periodo storico, piuttosto che evidenziare il cliché. Dyer per il suo libro ha scelto un titolo non proprio ottimistico, ma all’interno del libro ci sono racconti molto belli e toccanti: ho preferito partire da quei passi per mettere in evidenza lo spessore umano dei musicisti.»


Il compito di dar vita sul palco ai racconti è affidato a un quartetto di musicisti affiatato – formato da Carmine Ianieri, Marco Di Battista, Giorgio Pelagatti e Paolo Pandolfi – e alla voce recitante di Ilaria Cappelluti. «Al termine dello spettacolo di domenica, io l’ho definito giustamente un quintetto.» Strumenti e voce interagiscono in maniere differenti: il racconto viene sostenuto, raddoppiato, intervallato e colorato dagli interventi dei musicisti. «Partire direttamente con la musica, per fare entrare Ilaria in un secondo momento, avrebbe significato dare un messaggio sbagliato: non volevo che fosse un concerto. Allo stesso modo, non volevo che fosse un monologo.» L’entrata con il passo a due tra voce e pianoforte ha messo subito in chiaro come i due elementi siano stati uniti in modo profondo: sono le note del pianoforte a raccontare con la voce la vicenda di Chet Baker e a far sbocciare via via una intensa My funny Valentine, cosi come poi è il sax alto a interpretare l’episodio – teso e ricco di contraddizioni – che ha per protagonista Art Pepper. Una formazione compatta all’interno della quale la voce narrante si è calata in maniera naturale: voce e strumenti hanno perciò creato un contesto modulabile, in cui gli elementi si sono alternati in maniera fluida e senza strappi né difficoltà.


La scelta dei brani interpreta anch’essa le necessità dello spettacolo teatrale e non si riduce agli aspetti strettamente filologici. «In alcuni casi, come My funny Valentine per Chet Baker, la scelta è stata praticamente obbligata dal personaggio. In altri, i brani sono serviti per creare situazioni sceniche diverse: Indiana, con il suo andamento, richiama la spensieratezza del primo Lester Young, mentre There will never be another you, pur facendo riferimento sempre alla sua personalità, fa vedere anche come siano successe diverse cose nella sua vita. Non so se Art Pepper abbia mai suonato Laura, che è un tema più legato a Charlie Parker, ma un tema così bello e melodico, esplode nell’episodio del carcere di Pepper. E lo stesso vale per il finale dedicato a Monk, dove si parte dalle atmosfere frizzanti e latin di Yes or no, per passare attraverso un momento coltraniano, per arrivare a ‘Round midnight: abbiamo volutamente scelto di introdurlo solamente con pianoforte e sassofono per esaltare ancor più l’effetto per poi essere raggiunti da contrabbasso e batteria nella sezione B del brano.»


Non è la prima esperienza “narrativa” con cui si misura il quartetto: la coesione, la versatilità e il gusto raffinato dei quattro musicisti li aveva già visti impegnati nelle due serie di incontri I temi e i tempi del jazz. «Il dialogo con il Teatro Immediato è partito proprio da lì. Certo poi in uno spazio come quello – un teatro piccolo, con le luci, il palco e il calore del pubblico a ridosso – ho pensato che non fosse il caso di fare un discorso e a partire dal materiale raccolto negli anni e dalla forza del libro, ho proposto a Edoardo Oliva di Teatro Immediato la formula del racconto per voce e quartetto. Già quando avevo letto il libro, me lo ero immaginato con una voce recitante e il fatto di aver realizzato quest’idea – e di averla realizzata con la collaborazione di amici come Ilaria, Marco, Giorgio e Paolo – e vedere che il pubblico ha reagito molto bene è stata una grande soddisfazione.»