Biondini/Godard/Niggli – What is there what is not

Biondini/Godard/Niggli - What is there what is not

Intakt Records – CD 185 – 2011




Luciano Biondini: fisarmonica

Michel Godard: tuba, serpentone, basso

Lucas Niggli: batteria, percussioni






In principio era il modello? Certo, alle prime ben caratterizzate note dell’album, e grazie ad una sorta di riconoscibile sound, non è difficile sospettare di trovarsi nei paraggi di una delle ultime trovate di Rabih Abou-Khalil, non foss’altro per la partecipazione dell’accordionista Biondini e dell’ottonista Godard alle ultime sortite discografiche del colorito oudista libano-germanico. E certo il mixing (ammiccante e “sospetto” quanto si voglia) operato dal trasversale medio-orientale sembra aver pervaso questi comprimari, e allo stesso gioco si presta il frame-drumming (certo più secco e impulsivo del corrispondente Jarrod Cagwin) del triangolato Lucas Niggli, minaccioso enfant terrible della percussione made in Helvetia, le cui curiosità verso oriente si erano peraltro palesate in una recente, colorita esperienza discografica con l’esoticissima Xu Fengxia (Black Lotos, 2009).


Dal canto suo, lo stantuffante, ponderoso Michel Godard è stato un precoce curioso del free, parallelamente investito anche nel recupero del serpentone medievale e della musica antica, operando su disco una personale e rischiosa sintesi tra strumenti del passato e forme jazz (Archangelica, 2008) mentre Luciano Biondini, a parte la militanza con il cantautorato firmato Fossati o Testa, s’è ampiamente speso a fianco di stelle del nostro firmamento tra cui Bosso, Mirabassi e Girotto, fra gli altri, fissando le sue linee stilistiche nei personali album Terra Madre e, più recentemente, Prima del cuore .


Reminiscenze immediate a parte dunque, erompe in corsa e all’impronta del sorriso il neo-trio, in cui Biondini si conferma vivace praticante dello strumento a mantice, piuttosto liberato dal passivo retaggio folk ma, senza osarne le forme più estreme alla Frode Haltli o, inasprendo il tocco, alla Kimmo Pohjonen, non ne rivolta l’intima e coinvolgente cantabilità. A conferire densa strutturazione, ma anche humour solarizzato e trascinante, i pachidermici ottoni di Godard apportano colore bandistico, potendo anche piegarsi a laceranti ed espressive “vocalizzazioni” timbriche, che fanno di questo strumentista il componente forse più aperto al lato sperimentale, così come la percussione ardimentosa e asciutta dell’iperattivo Niggli, abile a tessere tappeti di trame fittamente grezze.


Aprendosi sotto una luce latina, il trio s’immerge in soste d’interrogativa improvvisazione, cullandosi con mollezza su accidiose ballate per poi operare di scalpello e aprire alla danza vorticosa adagio bachiani (Adagio in F), dilagando in gioiose effusioni come nella biondiniana (e qui ripresa) Prima del cuore, lanciata verso plaghe di sudamericana vitalità, per poi ricomporsi entro notturni e più bruniti colori.


Piuttosto liberati dai comunque titolati modelli i tre s’installano dunque con immediatezza e vitalità verso una musicalità propria (certo, in parte pescante nelle più recenti esperienze dei tre) porgendo un più che godibile biglietto da visita intinto di sapienza e colore.