Foto: Fabio Ciminiera
La felice consistenza di Jerry Bergonzi
Foggia, Moody Jazz Café – 12.5.2008
Jerry Bergonzi: sax tenore
Renato Chicco: pianoforte
Dave Santoro: contrabbasso
Andrea Michelutti: batteria
Tenor of the Times è il titolo del recente tour italiano di Jerry Bergonzi: lo stesso quartetto presente nel disco, registrato nel 2006, accompagna il sassosfonista nel concerto foggiano, una formazione compatta e, ormai, stabile da lungo tempo.
Un musicista consistente, capace di mettersi in gioco e di dare tanto nel corso della serata: senza esagerare o travaricare la giusta misura, Bergonzi si profonde con determinata convinzione nella sua musica e realizza una splendida sintesi tra tradizioni ed espressioni personali. Rimane all’interno dei canoni, ma ne mette in discussione le motivazioni e, nota dopo nota, ridefinisce il suo rapporto con la storia del sassofono, con i tanti linguaggi del jazz, con la propria visione musicale.
Consistente è la parola che meglio definisce la forza, la postura, il suono, il significato, le note: Jerry Bergonzi è consistente in ogni passaggio di un concerto tirato, energico e sempre fresco. Sicuramente Jerry Bergonzi è un musicista di altissimo livello, ma non è superfluo ricordarlo; la consistenza e lo spessore della ritmica formata da Renato Chicco, Dave Santoro e Andrea Michelutti permettono di dar vita a brani che mettono in evidenza l’energia e la composizione, le idee e il virtuosismo del leader.
Nel concerto si intersecano due linee: la direzione più spiccatamente modale, moderna ed energica delle linee soliste e la visione boppistica dell’accompagnamento. Le due anime, ovviamente, meno nette e schematiche nella realtà dei fatti, hanno portato alla sintesi e alla combinazione di influenze e scritture, di approccio e obiettivo. Sin dalla partenza di Akookarach, una sferzante combinazione di fendenti note di sassofono e accenti ritmici spostati, il concerto mette in chiaro la motivazione di fondo del quartetto: esprimere una voce, attraverso l’appropriarsi dei diversi linguaggi del jazz, dalle tradizioni del bop alle evoluzioni del periodo fusion, e la loro molteplice combinazione.
Il tenore come tratto caratteristico oltre che come strumento: un marchio di fabbrica, enfatizzato nei titoli delle sue ultime pubblicazioni. Pensando al suono del sassofono di Bergonzi verrebbe da dire: “il suono del tenore come dovrebbe essere”. Una miscela di personalità e intonazione, di stile e determinata presenza, una voce sicura e sempre ben pronunciata. Non che queste caratteristiche manchino negli altri tenorsassofonisti: ma Bergonzi le utilizza, con semplicità e naturale costanza, durante il concerto e riesce sempre a piegare e forgiare il suono secondo le sue necessità espressive.
La felicità del concerto passa anche attraverso l’apporto di una band solida e affiatata. Renato Chicco, Dave Santoro e Andrea Michelutti compongono il quartetto dal 2000. Questo strano ponte tra Italia e Stati Uniti – vuoi per le origini, vuoi per i trascorsi personali dei quattro – mette in risalto la forza e lo spessore espressivo della musica proposta da Bergonzi. La sintesi del quartetto si muove, oltre che tra generi e linguaggi, anche tra espressioni e sentimenti musicali: un vigore appassionato e calibrato, un lirismo mai incline a sdolcinature e concessioni.
L’immagine sorridente e l’atteggiamento positivo ha accompagnato la performance del sassofonista e del suo quartetto: la grande disponibilità umana aveva già caratterizzato la due giorni dedicata al seminario. La tecnica di improvvisazione era l’argomento scelto come tema per un discorso non legato allo strumento, ma fruibile da tutti i musicisti. Bergonzi ha dato subito prova della sua apertura al dialogo e allo scambio conducendo in maniera ammirevole (e con il supporto del quartetto e di Enzo Nini docente di Jazz presso il Conservatorio di Foggia) la lezione. Particolarmente apprezzata dagli studenti, la composizione a voce alta da parte del sassofonista di un brano – eseguito poi durante il concerto: strumento efficace per mettere in relazione le necessità dell’improvvisazione con le logiche della scrittura.