Slideshow. Bebo Ferra

Foto: Fabio Ciminiera










Slideshow. Bebo Ferra.


Jazz Convention: Bebo, parliamo innanzitutto del tuo nuovo lavoro discografico XXX assieme a Javier Girotto per la Egea?


Bebo Ferra: Si tratta di un lavoro che nasce dalla grande affinità musicale che mi lega a Javier, dalla grande stima sia umana che musicale. Un disco registrato in pochi giorni, con una grande cura del suono, e registrato con grande facilità e fluidità. Ogni brano è scaturito in modo così naturale da lasciare poco spazio alle seconde take, quasi tutte sono la prima versione registrata. La nostra idea era quella di costruire della musica in cui i due strumenti avessero uno sviluppo parallelo; abbiamo cercato il più possibile di lavorare su brani che ci permettessero di essere liberi da giri armonici, in cui l’improvvisazione diventa un reale sviluppo della composizione e abbiamo cercato di evitare la forma classica di un certo tipo di jazz, tema, assolo, assolo, tema che poco si adattava al tipo di composizioni che abbiamo scelto. Insomma abbiamo lasciato molto spazio all’improvvisazione, anche se resta presente l’altra nostra caratteristica che è quello della cantabilità dei temi e delle melodie.



JC: Da un primo ascolto emerge anche una sorta di sardinità da parte tua e della tangueria da Girotto : sei d’accordo?


BF: Mi sembra che sia nel mio modo di suonare che in quello di Javier sia facile rintracciare delle influenze legate alle nostre radici culturali. Anche se abbiamo cercato di lavorare sul del materiale che non avesse una particolare connotazione etnica, a parte alcuni brani, è inevitabile che le nostre peculiarità vengano fuori. Quindi in linea di massima posso essere d’accordo con quello che dici.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


BF: È legato alla mia famiglia, a mia sorella Adele e mio fratello Massimo, con cui da piccoli facevamo i concorsi musicali casalinghi, tipo Sanremo per intenderci, cantando sulla lucidatrice per i pavimenti, e usando il manico della stessa come un microfono. Ricordo benissimo che inventavamo i brani, anche se ci ispiravamo ai cantanti di allora, e ne inventavamo le parole e la musica, pur non avendo nessuno strumento con cui eseguirla. facevamo tutto con la voce, e ricordo pure che vincevo sempre io con un brano che si chiamava Meraviglioso. Credo di avere avuto al massimo quattro anni…



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un chitarrista?


BF: Anche su questa cosa ho un ricordo legato alla mia famiglia; ho tre fratelli più grandi a cui venne regalata dai miei genitori una chitarra. io ero il più piccolo, avevo appena otto anni, e i miei genitori pensavano che fossi troppo piccolo per iniziare a suonare, per cui a me non arrivò. Mai l’avessero fatto! Ho pianto per tre mesi, fino a che i miei si videro costretti a comprarne una anche a me, e a poco valsero le proposte di scambiarla con una automobilina o quant’altro. ero determinatissimo! Volevo assolutamente una chitarra; è da li che partì tutto, anche se verso i quindici anni presi una sbandata per il pianoforte, perché nel frattempo in casa arrivò anche quello, tornai dopo poco tempo al mio primo amore.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


BF: Dipende cosa si intende per jazz! È un genere che si è evoluto con una rapidità incredibile. In neanche cento anni di storia ha fatto quello che la musica cosiddetta “colta” ha fatto in diverse centinaia di anni, per cui è una domanda che ricorre di frequente, perché in spazi di tempo così ridotti sovente non lascia il tempo di metabolizzare i cambiamenti, per cui molti spesso fanno fatica a riconoscere come jazz questo o quell’altro mutamento espressivo. Si suole considerare il “vero jazz” morto verso gli anni settanta dopo Coltrane per intenderci, e alcuni critici avallano questa tesi. io non sono d’accordo, magari in questi anni non si è inventato nulla di nuovo o di così sconvolgente, ma credo che la parola jazz e quindi la musica jazz abbia ancora valore e sia ancora viva ; penso che la forza del jazz oggi sia quella di contaminarsi con altre culture, di sporcarsi le mani con altri idiomi musicali, pur mantenendo intatte le sue peculiarità, solo così credo possa mantenere intatta la sua forza vitale



JC: Ma cos’è per te il jazz?


BF: In un certo senso ho già risposto nella domanda precedente, ma aggiungo che il jazz è la mia vita, spero di non essere banale in questo concetto. lo considero un vero atteggiamento alla vita. È lasciare spazio all’imprevedibilità, all’imponderabile, lasciare una finestra sempre aperta al proprio inconscio che ti permetta essere te stesso al cento per cento e il più sincero possibile nei confronti di te stesso e della musica stessa. In un tempo di grandi conformismi culturali, in una cultura sempre più globalizzata credo che il jazz sia una delle forme d’arte più vere e sincere, che ancora sia un vero nutrimento dell’anima. È una visione un po’ romantica del jazz, ma io ritengo ancora viva.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


BF: Il sentimento di libertà che di per sé è molto generico, è un sentimento che è facile associare alla musica improvvisata. Diciamo che nel jazz, il campo di azione di un musicista rispetto alla musica scritta è molto più ampio. I margini in cui deve muoversi un musicista “classico” sono molto più esigui, c’è bisogno di un altra forma mentale per eseguire in maniera magistrale un brano scritto totalmente. Altro elemento che associo al jazz è la passionalità, ed in questo noi italiani siamo veramente all’avanguardia; spesso dai musicisti d’oltreoceano viene riconosciuta a noi italiani una passionalità notevole, cosa che manca spesso ai musicisti del Nord Europa.



JC: Come pensi che si evolverà il jazz del presente e il jazz del futuro?


BF: Non ne ho assolutamente un’idea, non riesco ad immaginare quale strada possa intraprendere il jazz odierno o quello futuro. Sento in giro che ci sono delle nuove tendenze, ma non mi sembra che nessuna di queste possa avere la forza per dettare i nuovi confini entro cui deve dirigersi la musica improvvisata. Una parte della critica mi sembra orientata ad indicare verso riedizioni o quantomeno verso un estetica tipo quella “free” degli anni settanta pensando che solo li ci possano essere cose interessanti e innovative. io non sono d’accordo. Ci sono cose interessanti anche in altri campi. Spesso la riconoscibilità melodica viene considerata da una parte della critica una cosa superficiale e banale; niente di più sbagliato. Se pensi che nello scambio epistolare tra Anton Webern e Alban Berg, due giganti della musica seriale e dodecafonica e della dissonanza, ebbene loro si chiedevano se le loro serie erano cantabili o no! Invece questa domanda centra un aspetto fondamentale della musica; la melodia essi la consideravano, e io sono pienamente d’accordo, la parte più sincera della musica. Detto questo non so dirti verso dove andrà il jazz del futuro, so solo che l’Europa avrà una parte ponderante nella crescita di questo linguaggio musicale, anche se storicamente pochissimi esponenti della vecchia Europa abbiano partecipato alla storia del jazz, penso che in futuro aumenterà via via la partecipazione attiva delle scuole musicali del vecchio continente, dato ormai il jazz è diventato una lingua del mondo e non più solo un linguaggio afroamericano.



JC: Tra i molti dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


BF: Bagatelle un disco in duo con Paolino Dalla Porta lo considero uno dei più rappresentativi della mia idea musicale, e Luar uno dei miei ultimi lo considero dal punto di vista compositivo e formale uno dei miei più riusciti. Considero la composizione un aspetto molto importante della crescita musicale, ed raggiungere una certa riconoscibilità compositiva lo considero uno dei punti di arrivo per un musicista.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella chitarra, nella musica, nella cultura, nella vita?


BF: Nella chitarra ho avuto vari maestri, dovrei citarne tanti: citerò solo Jim Hall che io considero il maestro di tutti i chitarristi jazz moderni, quello che ha lasciato un impronta che ancora non si è esaurita, quello che ha fatto evolvere in maniera più completa lo strumento elevandolo a dei livelli forse mai raggiunti prima nella storia del jazz. Nella cultura cito Fiodor Dostoevsky, il mio scrittore preferito, di cui ho letto moltissimi romanzi; ricordo benissimo quando lessi per la prima volta “Delitto e castigo” l’emozione che provai, fu così intensa che riuscii finalmente a capire lo sconvolgimento emotivo che si poteva provare nel leggere un libro straordinario, cosa che fino ad allora era per me solo prerogativa della musica. Nella vita mio padre, che mi ha insegnato la dignità, l’umiltà, la semplicità: pur essendo un uomo di una cultura straordinaria, metteva chiunque a proprio agio, la sua preparazione culturale (era un grande latinista e grecista) non era un qualcosa che lo portava ad erigersi sulle altre persone, anzi era quella cosa che gli permetteva varie chiavi di lettura delle cose che trattava e delle persone con cui aveva a che fare. Inoltre non ha mai ostacolato le mie scelte, pur provenendo da un modo completamente diverso.



JC: Dopo il duo con Girotto, cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


BF: Sto progettando tantissime cose, soprattutto diverse tra di loro. È un periodo per me di gran fermento e voglio sfruttare il momento al massimo. Ho da poco registrato le musiche di un film, scritte a quattro mani da me e Paolo Fresu, il film si intitola Metafisica per le scimmie della regista Marina Spada e la protagonista è Claudia Gerini e uscirà in primavera. Ho registrato un disco con un trio, organo Hammond e batteria, la classica formula dell’organ jazz trio, ma completamente rivisitato; è per certi versi molto rock e psichedelico, suono solo la chitarra l’elettrica e uso moltissimo l’elettronica. Uscirà per l’etichetta sempre di Fresu la Tuk Music, credo in settembre e sono molto curioso di vedere l’effetto che scaturirà, perché pochi si aspettano da me un disco del genere… Ne sto progettando un altro con un ensemble di musica contemporanea che si chiama Sonata Islands; registreremo alcuni brani miei arrangiati e alcuni brani commissionati appositamente per l’ensemble. Poi sto finendo un disco con Andrea Dulbecco, che sarà a firma di entrambi, che vedrà la presenza di Steve Swallow.