Rassegna Solo. Mehldau e Rubalcaba.

Foto: da internet










Rassegna Solo. Mehldau e Rubalcaba.

Auditorium Parco Della Musica Roma – Rassegna Solo

Gonzalo Rubalcaba – 27.3.2011

Brad Mehldau – 29.3.2011.

Per il ciclo “Carta Bianca”, l’abituale rassegna dell’Auditorium di Roma, tra la fine di gennaio e fine marzo sono andati in scena due grossi nomi del jazz internazionale, Gonzalo Rubalcaba e Brad Mehldau. Entrambi si sono presentati in perfetta solitudine, contesto nel quale si sono sempre trovati perfettamente a loro agio e che permette un’ampia libertà di movimento ed improvvisazione.


Il pianista de L’Havana cresce in una famiglia di musicisti profondamente legata alle tradizioni del passato artistico del paese, ma la sua formazione musicale ha come riferimento anche i grandi del jazz americano degli ’40 fino agli anni ’70, in una carriera che negli anni l’ha visto collaborare con i più importanti nomi del jazz moderno e incidere undici album, tra cui anche un disco in piano solo che l’ha visto aggiudicarsi anche due Latin Grammy Award. Il suo repertorio spazia dal bop al jazz afro-cubano, dalle ballate tradizionali ai boleri cubani e messicani e le premesse per assistere a qualcosa di estremamente valido c’erano tutte. In verità non tutte le aspettative sono state mantenute: in un elegante vestito bianco Rubalcaba si presenta al cospetto di una sala Sinopoli riempita solo a metà in un atteggiamento subito serioso e composto, dando vita ad un concerto complesso e per nulla facile. Il pianista cubano dà subito sfoggio della sua impeccabile tecnica in una sequenza di brani dall’andamento nervoso muovendosi a scatti sulla tastiera, prediligendo brevi pause e accordi articolati a facili melodie e brani più o meno conosciuti. I riferimenti alla musica caraibica sono messi da parte così come non vi è traccia di standard della tradizione americana che avrebbero potuto alleggerire un concerto troppo focalizzato sulla tecnica e poco sull’armonia, con l’inevitabile tiepida accoglienza finale di un pubblico che si aspettava, anche comprensibilmente, qualcosa di diverso.


Di tutt’altro tenore l’appuntamento a distanza di poco più di due mesi con quello che si può definire come uno dei più grandi jazzisti della sua generazione. Amatissimo in Italia, paese che l’ha visto affermarsi e imporsi all’attenzione di critica e pubblico, il pianista americano ha fatto registrare, come ormai piacevole abitudine, il tutto esaurito. Alla sua attività in quartetto prima e nel più classico dei trii poi, Mehldau ha da sempre parallelamente prediletto i concerti in solitudine, testimoniati quest’anno dall’uscita di una sua pregevole registrazione in quel di Marciac. A differenza di Rubalcaba, quello di Mehldau è un repertorio oramai consolidato fatto di standard pescati anche da brani più recenti e non sorprende dunque la scelta di iniziare il concerto con una rivisitazione di “Smell Like Then Spirit” dei Nirvana, subito seguita dal brano pop dei Verve “Bitter Sweet Symphony”. Il pianista di Jacksonville appare subito particolarmente ispirato incantando il pubblico presente in lunghi brani dalle mille sfaccettare. L’approccio è abbastanza classico, con Mehldau che espone le melodie dei vari brani, alcuni dei quali molto popolari in un repertorio che spazia da “Blackbird” dei Beatles alla celeberrima “My Favourite Things”, in modo abbastanza fedele all’originale per poi allontanarsi dallo spartito in maniera del tutto naturale ma per nulla banale, ed infine ritornare sui temi ripresentandoli ancor più rarefatti. Nel mezzo trovano spazio anche composizioni originali, su cui spicca una splendida “John Boy”, in brani intimi dall’andamento lento e delicato dove ogni nota non è mai superflua. Alla fine è un trionfo con un acclamatissimo Mehldau costretto ad eseguire ben quattro bis in cui trovano posto una superlativa “Airegin” di Sonny Rollins ed una bizzarra versione della Hendrixiana “Hey Joe”, a conclusione di due belle occasioni per poter ammirare e confrontare due maestri dello strumento dall’approccio completamente diverso.