Young Jazz 2011

Foto: Fabio Ciminiera










Young Jazz 2011.

Foligno, 25/29.5.2011.

L’edizione 2011 di Young Jazz ha sottolineato in maniera indiscutibile e ampia la maturità del festival. E sono stati diversi i punti dove si è visualizzata la crescita del festival, dal modo di concepire il programma alle diverse esplorazioni e collaborazioni, dalle attività collaterali alla splendidamente riuscita sezione Jazz Community, attraverso cui il festival ha offerto il suo sguardo al sociale. In maniera paradossale, si potrebbe aggiungere che anche i problemi – quelli che non mancano mai quando si organizza qualcosa – hanno mostrato un aspetto positivo, hanno manifestato il senso di crescita di una rassegna ormai importante.


La direzione artistica è stata affidata per il secondo anno a Gianluca Petrella. Il programma ha visto sui diversi palchi del festival El Portal, Doz Trio, Bojan Z in piano solo, Oren Marshall in tuba solo, Jim Black’s Cani da Salvataggio, Opa Cupa, Discantus, duo formato da Daniele D’Agaro e Mauro Costantini, Sex Mob, Gianluca Petrella & Etienne Jaumet e si è conclusa con il duo formato da Stefano Bollani e Cristina Zavalloni. A questi concerti bisogna aggiungere le jam session e i DJ set, i concerti nelle cantine dei dintorni di Foligno, mostre fotografiche e visite guidate. Tutte le attività erano già state presenti e proposte negli anni precedenti: in quest’edizione hanno avuto una coerenza e un disegno molto più solido e soprattutto si sono innervate nel programma generale del festival in maniera del tutto efficace.


Per quanto riguarda i concerti, va sottolineata in prima battuta la produzione originale affidata, in collaborazione con il Correggio Jazz, a Jim Black. Cani da Salvataggio è stata la formazione composta da alcuni dei musicisti emergenti più in vista nel panorama nazionale e presenti in modo significativo nelle precedenti edizioni del festival. Alfonso Santimone, Francesco Bigoni, Francesco Diodati, Joe Rehmer e Simone Zanchini si sono confrontati con il repertorio predisposto da Black e con una scelta linguistica aspra, aperta a soluzioni diverse, caratterizzata da un lavoro profondo sul ritmo e sul metro dei brani. Il suono del sestetto è stato scelto dal batterista e articolato dai musicisti chiamati nella formazione, in una sintesi molto ben riuscita tra le diverse maniere di intendere la ricerca, la libertà e la melodia nel jazz di oggi. Una scrittura dettagliata e esigente, vicina in alcune soluzioni al rock progressive, ma sempre e con intelligenza capace di tenere aperte vie di fuga e spazi per l’improvvisazione.


Tutto il percorso delle esibizioni ha messo in risalto formazioni e interpreti impegnati in maniera matura e profonda nella definizione di un vocabolario espressivo. Ad aggiungere ulteriore valore, soprattutto nel caso del piano solo di Bojan Z e nella toccante escursione sonora di Discantus, i luoghi dove si sono svolti i concerti, rispettivamente la Chiesa di San Francesco a Montefalco e a Trevi: l’ambiente diventa ulteriore interprete e impasta e combina i suoni, interagisce con i musicisti sia per la risposta – i riverberi naturali e gli spazi ampi del suono – sia per la bellezza, incombente e umana, delle sale e dei dipinti. Due concerti in particolare che hanno guardato alle rispettive tradizioni etniche, intrecciate alla pratica del jazz e alle intuizioni personali. Se Bojan Z ha portato nel repertorio del piano solo le melodie balcaniche per elabolarle in improvvisazioni fluide, ampie e dilatate dal punto formale e sostanziale, D’Agaro e Costantini hanno ripreso i brani del canone aquileiese, repertorio sacro risalente al medioevo, in una rivisitazione rispettosa nella forma e nelle melodie, dove sono l’approccio personale e la dimensione lirica a far realizzare lo scatto alla musica del duo.


Con il live set di Etienne Jaumet e Gianluca Petrella, Young Jazz ha incontrato come avviene ogni anno Dancity, festival di musica elettronica che si tiene ogni anno sempre a Foligno. La session creata appositamente per il festival ha visto i due musicisti misurarsi con strumenti, consolle, mixer e live electronics. Combinazione tutt’altro che scontata di suoni e intenzioni musicali, la performance ha avuto luogo nella Taverna del Rione Ammanniti: ambiente che forse non si è rivelato del tutto adatto per i volumi e le evoluzioni delle molte linee messe in gioco dai due, suggestivo per l’aspetto visuale e il contrasto tra macchinari e suoni moderni e ambiente antico, un po’ meno per la risposta sonora.


Improvvisazione, melodia, interplay e fantasia: la miscela portata sul palco di Palazzo Trinci da Steven Bernstein e dai Sex Mob unisce groove e libertà: la grande solidità del gruppo permette ai quattro di dialogare continuamente e di creare un corto circuito virtuoso tra tradizione e dissacrazione, ricco di assolo solidi e sorprese spiazzanti. Funky dilatato e costruito su riff e improvvisazioni fulminee, la musica dei Sex Mob mette in luce come il jazz possa unire divertimento e forza espressiva. E con la chiamata sul palco di Gianluca Petrella e Daniele D’Agaro, Bernstein sottolinea un finale all’insegna della festa del jazz, dove si uniscono la line up del dixieland, la ricerca del dialogo e dell’improvvisazione, la modernità del linguaggio.


E, infine, la chiusura con Stefano Bollani e Cristina Zavalloni. Due musicisti onnivori per un concerto dove a fare da filo conduttore è stato l’interesse per le musiche, le melodie e i ritmi del mondo. Dai Beach Boys a Poulenc, da Pixinguinha alla letteratura degli standards del jazz. È forse l’incontro più facile da immaginare e difficile da realizzare: due interpreti funambolici, animati dall’amore per la musica in ogni direzione. Ed è questo ad offrire il filo conduttore di un incontro basato su una intenzione poliedrica: l’interpretazione ogni volta si dispone all’esecuzione del bano così com’è, a renderlo personale è l’approccio di due musicisti attenti, ironici e curiosi.


Young Jazz ha dimostrato – con il programma e con le attività collaterali che affronteremo in altra sede – come una delle chiavi per crescere ed avere una propria identità sia nel mantenere saldi i principii ispiratori dell’idea di partenza. Nei sette anni del festival, è cresciuta anche l’età dei musicisti e forse sarebbe il caso di tornare ad esplorare anche le nuove leve dei jazzisti più giovani e curiosi. Ma Young Jazz resta senza meno un luogo dove incontrare ed accostare esperienze in maniera meno scontata e, soprattutto, un luogo dove si accostano cose diverse tra loro o meno facilmente veicolate all’interno dei programmi, senza necessariamente essere estremisti.