Finnish Jazz. Intervista. Hanne Pulli

Foto: Niina Stolt










Intervista a Hanne Pulli


Recensione a Space Machine

Hanne Pulli appartiene a quella nuova generazione di musicisti finlandesi che sta facendo parlare di sé per proposte musicali ispirate e creative. Da sempre impegnata in molteplici progetti, questa giovane batterista giunge ora alla maturità necessaria per dare alle stampe il suo debutto da leader, intitolato Space Machine. Una raccolta di composizioni originali che ben delineano la personalità e le attitudini musicali della musicista finlandese.




Jazz Convention
: Qual è il tuo primo ricordo della musica?


Hanne Pulli: Ricordo di una volta in cui io e mia sorella maggiore abbiamo cantato e ballato delle filastrocche nel nostro soggiorno. Avevo cinque anni e mio padre registrò tutto con una telecamera.



JC: Hai iniziato suonando il violino. I tuoi esordi musicali sono stati dunque incentrati sullo studio della musica classica?


HP: Sì, avevo visto mia sorella maggiore suonarlo e volevo imitarla. Avevo cinque anni quando ho iniziato a prendere lezioni e ho continuato a farlo per oltre dieci anni. Durante questo periodo di tempo ho studiato sia la teoria che la storia della musica classica. Ho capito molto presto che non sarei mai stata una musicista classica, ma conoscere la teoria e sviluppare il mio orecchio musicale, acquisito tramite lo studio del violino, mi è servito molto in seguito.



JC: Non capita spesso di vedere una ragazza dietro una batteria. Cosa ti ha spinto a passare dal violino alla batteria e come questo ha influito sul tuo approccio alla musica?


HP: Ricordo il giorno in cui mio padre portò un set di batteria a casa. Avevo sei anni e ne fui molto entusiasta. I miei dicono che era stata richiesta da me diverse volte ma non riesco a ricordarlo. Ricordo invece perfettamente quanto mi sentii incredibilmente a mio agio una volta che fui seduta dietro i suoi tamburi. Tutti quei ritmi e le combinazioni che potevo trarne, mi apparivano affascinanti. Fu come poter parlare e comprendere improvvisamente un linguaggio nuovo. Questo non mi è mai capitato con il violino. Non mi sono mai sentita una violinista. Lo studiavo solo perché anche mia sorella lo faceva. Ora che ci penso la differenza più grande tra questi due strumenti è l’intensità. Sviluppai subito un rapporto speciale e passionale con la batteria che mi spingeva a cercare di imparare il più possibile e mettermi sempre alla prova. Ricevevo una risposta emozionale maggiore suonando con i miei amici di scuola durante i primi anni. C’era sempre qualche gruppo in cui ero coinvolta quando frequentavo la scuola. Non ho mai avvertito quella sensazione con il violino. Suonare la batteria in una band composta da miei amici era molto più soddisfacente di starsene a provare da sola in una stanza cercando di memorizzare tutte le nozioni e le regole della musica classica. All’età di sedici anni fui abbastanza fortunata da essere accettata dal dipartimento giovanile della Sibelius Academy dove sapevo che avrei studiato dai più grandi musicisti di jazz del nostro paese. Fu allora che decisi di abbandonare lo studio del violino. All’epoca ero già molto coinvolta dal jazz quindi fu un decisione facile da prendere. Ad ogni modo il violino ha avuto una grande importanza per quel che riguarda la mia abilità di sentire la musica. Grazie al violino ho affinato il mio orecchio musicale ed acquisito una prospettiva musicale più ampia che si è andata a legarsi alla mia visione ritmica. Penso sia per questo che amo le melodie raffinate e le strutture armoniche. Credo che alcune melodie ed armonie posseggano una connessione mistica con le emozioni delle persone. Cerco di essere onesta ed ascoltare il mio orecchio interno quando si tratta di suonare la mia musica. Sono una persona molto sensibile e umorale. Quando creo la mia musica cerco un mood specifico o una specifica sensazione come punto di partenza e mi preoccupo di come debba essere presentata.



JC: Ascoltando la tua musica è possibile avvertire la tua predilezione per le prime forme di jazz rock. Qual è la musica con la quale sei cresciuta?


HP: Mio padre è un chitarrista e a causa del suo entusiasmo verso certi artisti sono cresciuta ascoltando il rock progressivo degli anni ’70 e la fusion degli ’80. Gruppi come i Camel e i Gentle Giants erano costantemente sul piatto del nostro giradischi. C’erano anche un sacco di LP di Billy Cobham in casa e acquistai molta familiarità con il repertorio anni ’80 di Chick Corea, che veniva spesso suonato durante i nostri viaggi in auto. Le prime musicassette che ricordo di aver comprato sono state “A New Flame” dei Simply Red e “Hello, I Must Be Going” di Phil Collins. Ero molto affascinata da quella musica.



JC: Il trombettista Kalevi Louhivuori ha giocato un ruolo importante in questo disco come “cantante” principale dei temi che hai scritto per le tue composizioni. Scrivi la tua musica pensando alle qualità musicali dei tuoi partner?


HP: Sicuramente no. Comporre non è esattamente una “minestra pronta” per me. Ci è voluto del tempo per trovare il mio modo di creare musica. Il suono che voglio ottenere e il tema sono solitamente i punti sul quale mi concentro quando scrivo musica, non i musicisti con il quale suonerò. Infatti il mio computer è pieno di brani incompleti che sono stati abbandonati per diverse ragioni. Dall’altra parte mi ritengo fortunata ad avere dei musicisti così bravi nella mia band. È stupendo sentire di potersi fidare di ciascuno di loro e delle loro capacità. Kalevi è uno dei migliori trombettisti che abbia mai ascoltato ed anche un mio caro amico. È un solista naturale e non vorrei che fosse diversamente da com’è. Sono molto felice di poter suonare con lui.



JC: Parlaci degli altri musicisti che suonano con te in questo tuo disco d’esordio come leader.


HP: Accanto a Kalevi ci sono il chitarrista Petri Kautto, il pianista Antti Kujanpää e il bassista Jori Uhtala. Ho conosciuto Antti e Jori durante i miei studi. Suoniamo insieme da dieci anni in un progetto comune,un ensemble di jazz chiamato Kvalda. Durante questo periodo abbiamo sviluppato un legame musicale che ci unisce molto. Quando ho iniziato a mettere insieme questa band, mi è sembrata la cosa più naturale chiedere a loro di collaborare. Abbiamo imparato a parlare lo stesso linguaggio musicale e sappiamo sempre molto bene quello a cui l’altro sta pensando. Amo lo stile chitarristico di Petri e la sua rimarchevole capacità di essere sempre dentro la musica. Il suo orecchio musicale è probabilmente il migliore con cui abbia mai avuto a che fare.



JC: Nonostante sia una batterista le tue composizioni non sono sempre incentrate sul ritmo. Qual è l’idea attorno al quale costruisci le tue composizioni?


HP: Nella maggior parte dei casi credo sia cercare un’atmosfera di un certo tipo. Certi brani si prestano meglio ad un approccio ritmico mentre altri si concentrano su aspetti diversi. Ad un certo punto dei miei studi ero molto presa dal “free” ed è possibile ascoltarlo in alcuni di essi. Cerco di essere aperta verso qualunque tipo di stile o approccio. Mi piace che ogni brano abbia il proprio carattere personale che lo distingua dall’altro.



JC: Ti senti ispirata da altri batteristi compositori?


HP: Sono sempre ispirata dalla buona musica. Non importa chi sia a crearla. Ascolto un sacco di generi musicali, stili e sonorità.



JC: C’è un vecchia composizione di Duke Ellington intitolata “Drum is a woman”, che narra di un dea africana del ritmo. Qual è per te l’aspetto più femminile della batteria?


HP: Probabilmente la chiave per accordare le pelli della mia batteria Tama. Possiede una figura a forma di cuore al suo interno. Credo faccia proprio al caso mio!



JC: Alcuni brani di questo disco possiedono linee melodiche ariose ed aperte che sembrano evocare lo stesso spazio cosmico che hai utilizzato per dare il nome alla tua band. Credi esistano altre forme di vita nell’universo?


HP: Ne sono certa.



JC: In passato alcuni scienziati americani hanno lanciato nello spazio uno shuttle contenente alcune delle migliori espressioni artistiche del genere umano, tra cui delle opere musicali, nell’eventualità che potessero essere intercettate da forme di vita extraterrestri. Qual è la musica che avresti scelto di inviare tu?


HP: Ci sarebbero milioni di buone possibilità ma se dovessi scegliere ora, probabilmente opterei per qualcosa di Björk. Credo che sia una delle più coraggiose, sperimentali, interessanti e carismatiche artiste a cui potrei pensare. La sua creatività musicale è riuscita a toccare milioni di persone. Sarebbe ancora meglio se potessi metterci Björk stessa, all’interno dello shuttle, così da poter cantare di persona alcune delle sue canzoni agli alieni. E se John Coltrane fosse stato ancora vivo, avrebbe potuto unirsi a Björk per duettare insieme. Sarebbe stato molto bello!



JC: A parte Space Machine sei coinvolta in altri progetti e band. Puoi parlarci di alcuni di essi?


HP: Considero Space Machine e Kvalda come i miei gruppi principali. Intendo dire che sono questi i gruppi in cui impiego la maggior parte delle mie energie. In aggiunta, faccio sedute in studio o piccole esibizioni qui e lì. In Finlandia la scena musicale è molto piccola e ci si conosce un po’ tutti. Recentemente mi sono unita ad un ensemble di jazz chiamato ESA Jazz Orchestra in supporto alla scena jazzistica della provincia sud di Savo, la mia terra d’origine. Cerco anche di insegnare ogni qualvolta ne ho il tempo.



JC: A cosa stai lavorando per il tuo prossimo futuro?


HP: Questa estate, Space Machine terrà dei concerti nei jazz festival finlandesi e con la band Kvalda stiamo per pubblicare un terzo disco che dovrebbe vedere la luce all’inizio dell’autunno. Mi aspetta una lunga serie di concerti in compagnia di ottima musica e dei miei buoni amici.