Enrico Blumer Production – EBP 01-10 – 2011
Andrea Esperti: trombone
Lorenzo Paesani: nord stage, reaktor synthesizers, organo
Niccolò Faraci: contrabbasso, laptop sound design
Alessandro Blasi: batteria, percussioni
Cosa vuol dire sperimentare nel jazz oggi? Fin dove si possono spingere i linguaggi della musica afroamericana pur rimanendo all’interno dei loro confini? E dove terminano questi confini? Cosa è lecito e cosa non lo è? Perché tra i capolavori del “divino” Miles Davis, Kind of blue (1959) rientra a pieno titolo sotto l’etichetta “jazz”, mentre Bitches brew (1969) è ritenuto un ascolto comunque moderno, contaminato, vicino all’estetica del rock, del funk, della psichedelia? Contaminato rispetto a cosa? Non era forse originariamente il jazz musica di frontiera che della contaminazione aveva fatto il proprio strumento estetico più acuminato? Quesiti come quelli sopra esposti rischiano di lasciare il tempo che trovano, o peggio, di condurre a dispute feroci.
Ognuno ha la propria visione della musica e dell’arte, ma di certo di fronte all’opera di Niccolò Faraci, Tokyo 2674, non si può evitare di tirare in ballo la contaminazione, la ricerca, la sperimentazione. Sperimentazione sicuramente intelligente perché scompagina le aspettative dell’ascoltatore più smaliziato in quanto messa in atto nella maniera più evidente accostando la strumentazione classica nelle mani di Andrea Esperti (trombone), Alessandro Blasi (batteria e percussioni) e del leader (al contrabbasso) ad una sottotrama elettrificata, espressa in primis dalle sonorità del piano Fender Rhodes (emulato fedelmente dal nord stage di Lorenzo Paesani) e sullo sfondo da una serie di effetti, loop, varie invenzioni al sintetizzatore. Come è possibile leggere diffusamente sul web, il disco si ispira alle atmosfere della fantascienza care a Faraci, ed in effetti a ben vedere sono tanti i momenti, espliciti o di riflesso, che suggeriscono paesaggi “futuristici”, spesso sottolineati proprio da certi espedienti di marca elettronica.
La concezione di quest’opera è basata su una scrittura che lascia poco spazio all’improvvisazione dei musicisti; Faraci, autore di tutti i brani, ha esteso la composizione del semplice tema da esporre ad una lunga sequenza musicale nella quale si alternano la voce del trombone – sempre in evidenza, spesso doppiato da un altro strumento – a momenti più eminentemente ritmici; il drumming moderno di Blasi spesso segue la figurazione ritmica della melodia, e forse è solo il leader ad avere la maggiore libertà di movimento all’interno delle strutture. Ne consegue un andamento frammentato, un incedere a scatti dei brani, che tuttavia crescono in maniera magmatica, inarrestabile, ascolto dopo ascolto: privi certo dello swing d’annata, ma freschi per inventiva e per coraggio. Sia lode dunque a giovani musicisti (sono tutti poco più che trentenni) che con entusiasmo si spingono al di là dello steccato, consapevoli che è iniziato tutto in questo modo.